Gesù ha cura della nostra vita perché la ama e sa che può portare frutti di bene anche quando sembra sterile di bene e di felicità. Ci crediamo anche noi? il Vangelo è come il concime buono che scende nella profondità e dona alle nostre radici malate nuova vita. Questa è la vera speranza, perché Dio non butta via mai niente!
(DOMENICA 23 marzo 2025 – III di Quaresima anno C)
In quel tempo si presentarono alcuni a riferire a Gesù il fatto di quei Galilei, il cui sangue Pilato aveva fatto scorrere insieme a quello dei loro sacrifici. Prendendo la parola, Gesù disse loro: «Credete che quei Galilei fossero più peccatori di tutti i Galilei, per aver subito tale sorte? No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo. O quelle diciotto persone, sulle quali crollò la torre di Sìloe e le uccise, credete che fossero più colpevoli di tutti gli abitanti di Gerusalemme? No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo».
Diceva anche questa parabola: «Un tale aveva piantato un albero di fichi nella sua vigna e venne a cercarvi frutti, ma non ne trovò. Allora disse al vignaiolo: “Ecco, sono tre anni che vengo a cercare frutti su quest’albero, ma non ne trovo. Tàglialo dunque! Perché deve sfruttare il terreno?”. Ma quello gli rispose: “Padrone, lascialo ancora quest’anno, finché gli avrò zappato attorno e avrò messo il concime. Vedremo se porterà frutti per l’avvenire; se no, lo taglierai”».
(dal Vangelo di Luca 13,1-9)
Ho un carissimo amico prete insegnante di teologia che oltre ad essere un gran divoratore di libri di ogni tipo è anche un appassionato di informatica. È esperto di computer da tantissimi anni con una passione per l’elettronica che coltiva fin da giovane. Una volta mi sorprese non poco quando, poco prima di pranzare insieme in canonica, lo vidi arrivare in cucina con un vecchio monitor da computer. Prima di sedere a tavola, accende il forno, imposta una certa temperatura e il timer, apre lo sportello e ci infila dentro il monitor, richiude lo sportello e si siede e mangiare. Sinceramente al momento pensavo che fosse semplicemente impazzito, troppo preso a riparare computer di mezza diocesi e sotto stress. Avendo visto la mia faccia alquanto perplessa, durante il pranzo, mi spiega quello che aveva fatto. Gli avevano dato un monitor che secondo il proprietario era ormai da buttare. Ma il mio amico, che ama le sfide anche tecnologiche, aveva comunque tentato di dare un’ulteriore possibilità di vita a quel vecchio schermo. E lavorandoci non poco, aprendolo e sistemando cavi e schede elettroniche aveva individuato il modo per farlo funzionare, ma per far in modo che le connessioni interne funzionassero serviva portarlo per un breve tempo ad una certa temperatura, e la via più pratica per quanto assurda era proprio infilarlo nel forno per quel che bastava. Qui si ferma quel che ho capito di tutta l’operazione, ma sta di fatto che alla fine il vecchio monitor ha ricominciato a funzionare, quasi come nuovo.
Mi ricordo bene la soddisfazione del mio confratello di aver trovato il modo per non buttare via quello che sembrava ormai un inutile ed ingombrante scarto tecnologico.
“Tàglialo dunque! Perché deve sfruttare il terreno?”, è il comando perentorio e definitivo del padrone del fico nella parabola di Gesù. A questo giudizio drastico, fa da contrasto l’affermazione quasi implorante del vignaiolo: “Padrone, lascialo ancora quest’anno, finché gli avrò zappato attorno e avrò messo il concime. Vedremo se porterà frutti per l’avvenire…”
Il vignaiolo crede ancora a quel fico infruttuoso, e spera che con la cura giusta qualcosa di buono ne uscirà. Gesù racconta questa parabola perché si trova in un contesto umano e religioso fatto di giudizi definitivi e sempre senza speranza. Al suo tempo se uno aveva una disgrazia (malattia, incidente, sfortuna…) era perché in qualche modo se lo era meritato dalla vita e da Dio.
Il fico nella simbologia biblica rappresenta il popolo di Dio, Israele, che Dio ha messo nel mondo per il bene, ma che molto spesso invece di fare frutti di bene, non produce nulla di buono e si dimentica la sua missione. Ecco perché Gesù è venuto in mezzo a quel popolo, che nonostante preghiere, riti, tradizioni e soprattutto conoscendo la Sacra Scrittura non produce nulla di buono. Il contadino della parabola non è certo dei risultati della cura, dello zappare e concimare, ma sa che è l’unico modo per dare un’altra possibilità di frutto. Il contadino crede in quel fico sterile e ha speranza anche contro ogni speranza.
Il contadino Gesù, che è immagine di Dio Padre e contadino, ama il popolo di Dio, ama l’essere umano anche nel momento in cui sembra produrre poco bene. Dio ama l’umanità anche quando sembra un inutile scarto nella Storia, anche quando ai bordi delle strade è mendicante che dà fastidio, anche quando è una donna malata o prostituta o adultera e merita solo di essere eliminata per il disonore che porta alla società, anche quando è uno straniero che occupa illegalmente la terra, anche quando è anziano e gli rimane poco da vivere e non produce nulla…
Se Gesù è il contadino, chi è il padrone della parabola? Quel padrone in fondo rappresenta noi stessi. Quel padrone che non dà una seconda possibilità alla pianta è l’essere umano che punta solo all’efficienza ed è veloce e spietato nel giudicare. Quel padrone con la scure in mano sono io che giudico la mia vita troppo velocemente guardando solo ai miei sbagli e perdendo la speranza di poter migliorare anche dopo l’ennesimo errore. E come faccio con me lo faccio anche con gli altri.
Gesù non è così, e ci insegna a non essere così spietati con noi stessi, con il prossimo e con la Storia. Gesù insegna la cura, il mettere mano alla zappa e gettare il concime. La zappa è per scavare a fondo delle storie e nelle motivazioni, cercando di non fermarci mai alla superficie delle persone e di quello che fanno. Il concime da mettere è l’amore e anche la stessa Parola di Dio. Come cristiani abbiamo bisogno del concime del Vangelo che se lo lasciamo scendere nel profondo della mente e del cuore è capace di far ritornare frutti buoni sui rami della nostra vita.
La cura del Vangelo fa fare scelte assurde a volte, contro la logica dell’efficienza e del giudicare facile, ma è l’unica capace di dare nuova vita. E anche se amare il prossimo che sbaglia è strano come mettere un monitor in un forno da cucina, alla fine saremo sopresi di quanto siamo capaci di riportare frutti di bene in noi stessi, nel prossimo, nella Storia.