Quando diciamo di essere cristiani stiamo recitando un copione o stiamo dicendo la nostra vita di tutti i giorni? La luce potente del Vangelo mi obbliga a guardarmi dentro per vedere se davvero le parole di Gesù arrivano al cuore. In tempi bui come questi il mondo ha bisogno di cristiani illuminati davvero.
(DOMENICA 2 marzo 2025 – VIII anno C)
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli una parabola:
«Può forse un cieco guidare un altro cieco? Non cadranno tutti e due in un fosso? Un discepolo non è più del maestro; ma ognuno, che sia ben preparato, sarà come il suo maestro.
Perché guardi la pagliuzza che è nell’occhio del tuo fratello e non ti accorgi della trave che è nel tuo occhio? Come puoi dire al tuo fratello: “Fratello, lascia che tolga la pagliuzza che è nel tuo occhio”, mentre tu stesso non vedi la trave che è nel tuo occhio? Ipocrita! Togli prima la trave dal tuo occhio e allora ci vedrai bene per togliere la pagliuzza dall’occhio del tuo fratello.
Non vi è albero buono che produca un frutto cattivo, né vi è d’altronde albero cattivo che produca un frutto buono. Ogni albero infatti si riconosce dal suo frutto: non si raccolgono fichi dagli spini, né si vendemmia uva da un rovo. L’uomo buono dal buon tesoro del suo cuore trae fuori il bene; l’uomo cattivo dal suo cattivo tesoro trae fuori il male: la sua bocca infatti esprime ciò che dal cuore sovrabbonda».(dal Vangelo di Luca 6,39-45)
Gesù usa sempre molte immagini nei suoi discorsi. Le immagini prese dall’esperienza personale e del suo tempo hanno la capacità di rendere più forte e incisivo l’insegnamento. Sono immagini anche piene di ironia che possono strappare un immediato sorriso per la loro comicità. Pensiamo ai due ciechi che camminano per una strada pensando di guidarsi reciprocamente e finiscono nel fosso, oppure l’immagine davvero buffa del tizio che gira con una trave piantata nell’occhio e non se ne accorge. Sembrano davvero dei piccoli sketch da comiche messi in scena da abili attori. E Gesù che chiama “commediante” (che è la traduzione letterale della parola “ipocrita”) colui che vive la vita umana e di fede con superficialità, facendo finta di essere discepolo senza esserlo veramente. Per questo domando a me stesso: sono vero discepolo o solo un commediante? Agli occhi di Dio e del mondo sembro solo un buffo comico che fa finta di vedere il bene e di seguirlo, oppure alle parole di Gesù ci credo davvero e cerco di portare dentro alla vita quello che celebro in chiesa?
L’uso dell’immagine del cieco e degli occhi, mi richiama uno dei modi con i quali i primissimi cristiani chiamavano se stessi: gli illuminati. Coloro che diventavano discepoli, man mano che crescevano nella conoscenza del Vangelo e lo mettevano in pratica, si accorgevano di avere uno sguardo nuovo sul mondo, su sé stessi e su Dio. Essere e vivere da cristiani apriva gli occhi riempiendoli di speranza difronte a quello che succedeva nel mondo, rendeva capaci di vedere meglio Dio anche dentro il fratello e la sorella più lontani, riusciva ad amare anche i nemici, i più poveri e diversi da sé. Diventare cristiani dava occhi nuovi, che vedevano con verità i propri peccati, limiti e fragilità e rendeva capaci anche di vedere come aiutare il prossimo, con le sue pagliuzze, ma senza giudizio.
Nella parabola della pagliuzza e della trave, Gesù non insegna a guardare solo a sé stessi con chiusura ed egoismo, ma a prendersi cura reciprocamente, ma senza giudizio e superiorità, senza l’arroganza di sentirsi perfetti e quindi di umiliare il prossimo. Ognuno di noi ha le sue pagliuzze nell’occhio che rendono lo sguardo offuscato e limitato. Abbiamo tutti bisogno di aiutarci gli uni gli altri a riaprire bene lo sguardo della mente e del cuore. Ma se non curo me stesso e divento arrogante e chiuso, allora quella pagliuzza diventa una vera e propria trave che non solo rende irrimediabilmente ciechi ma nello stesso tempo ridicoli. Un cristiano che guarda all’altro con superiorità e pregiudizio, che si crede arrivato e impeccabile, è davvero la cosa più tristemente comica che ci possa essere, proprio come un tizio che gira per strada con una trave in un occhio e si offre di fare da guida cieca ad un altro cieco. E sappiamo come va a finire…

In Turchia ho avuto modo di vedere un antico fonte battesimale dalla forma molto particolare. Solitamente la vasca nella quale ci si immergeva (la parola “battesimo” significa proprio “immersione”) era a forma di croce, perché essere battezzati significava immergersi nella vita di Gesù Cristo, nella sua morte e resurrezione. Questa vasca nell’antica chiesa turca aveva la forma della prima lettera della parola greca “phaos”, che significa “luce”.
Il cristiano con la fede si immerge in una strada di luce che è quella del Vangelo, e di questa luce è chiamato a diventare portatore e diffusore. Se viviamo in quelli che diciamo essere “tempi bui” per la pace, è bene riscoprire questa vocazione a diventare luce, punti luminosi, che riaccendono la speranza.
Siamo chiamati a riaccendere la luce negli occhi di tanti che sono tentati di chiuderli difronte al male, alle ingiustizie e alle povertà. E lo possiamo fare solo a patto che non dimentichiamo le nostre fatiche e il nostro continuo bisogno di ritornare alla luce di Cristo che splende dentro al Chiesa e nel suo Vangelo.
Siamo discepoli e non commedianti della fede, e le parole di Gesù che all’inizio fanno sorridere però poi ci spingono a prendere sul serio queste parole, parole preziose e feconde che arricchiscono davvero il tesoro che abbiamo nel cuore, e ci fanno portare frutti abbondanti di bene nel mondo.