Pasqua: terremoto di vita

23 marzo 2008
Pasqua di Risurrezione

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Dopo il sabato, all’alba del primo giorno della settimana, Maria di Mà gdala e l’altra Maria andarono a visitare la tomba.
Ed ecco, vi fu un gran terremoto. Un angelo del Signore, infatti, sceso dal cielo, si avvicinò, rotolò la pietra e si pose a sedere su di essa. Il suo aspetto era come folgore e il suo vestito bianco come neve. Per lo spavento che ebbero di lui, le guardie furono scosse e rimasero come morte.
L’angelo disse alle donne: «Voi non abbiate paura! So che cercate Gesù, il crocifisso. Non è qui. E’ risorto, infatti, come aveva detto; venite, guardate il luogo dove era stato deposto. Presto, andate a dire ai suoi discepoli: “E’ risorto dai morti, ed ecco, vi precede in Galilea; là  lo vedrete”. Ecco, io ve l’ho detto».
Abbandonato in fretta il sepolcro con timore e gioia grande, le donne corsero a dare l’annuncio ai suoi discepoli.
Ed ecco, Gesù venne loro incontro e disse: «Salute a voi!». Ed esse si avvicinarono, gli abbracciarono i piedi e lo adorarono. Allora Gesù disse loro: «Non temete; andate ad annunciare ai miei fratelli che vadano in Galilea: là  mi vedranno».
(dal Vangelo di Matteo 28,1-10)

Venerdì santo e sabato santo: Gesù è morto. Una pesante pietra è stata messa davanti l’ingresso del sepolcro. E’ stata pure sigillata ed è protetta da guardie.
Così si chiude il racconto della morte e sepoltura di Gesù, grande maestro di vita che insegnava molte cose su Dio e che faceva segni di guarigione e di vita.
Tutto è così drammatico ma anche estremamente normale: così vanno le cose, non si può cambiare il destino. Il venerdì e il sabato di Gesù sono giorni tristissimi per i suoi discepoli e discepole ma non ci si può aspettare nulla di diverso. Il clima è carico di una grande rassegnazione che sembra essere l’unica cosa da fare di fronte a drammi come questo.
Il venerdì e il sabato santo descrivono veramente la nostra vita, che è fatta di cose che finiscono, di gioie mai definitive, di legami che si spezzano per abbandoni e morti. Il mondo che cerca la felicità  e la ricchezza sa che deve fare i conti con la morte che alla fine, in un modo o nell’altro, arriva.
Rimane solo la rassegnazione che si trasforma molto spesso in immobilismo: cosa posso fare?… “niente!” è la risposta che spontanea nasce nel cuore rassegnato.
Qualche giorno fa ho visto in televisione un documento sconvolgente sulla vita dei poveri a Bucarest, in Romania. In un contesto molto simile alle nostre città  italiane uomini e donne, giovani e vecchi, vivono respirando colla e vernice come droga e abitano sotto l’asfalto, in cunicoli pieni di immondizie e scarafaggi dove passano le condutture del riscaldamento cittadino. Le immagini facevano vedere questi esseri umani discendere e poi riemergere dai tombini come scendessero ed emergessero da tombe, ma non in bei cimiteri adorni di belle lapidi e colorati fiori, ma in mezzo a strade e discariche cittadine.
Che posso fare io? Che possiamo fare noi per povertà  come questa? Che possiamo fare per i somali che muoiono in mare verso lo Yemen fuggendo dall’infinita guerra civile? Che posso fare io quando incrocio un povero immigrato, un anziano solo, o quando vengo a sapere che quella famiglia o quell’altra sono in difficoltà  economiche o divise?
Cosa posso fare quando avverto che io stesso sono solo e ferito nel corpo o nello spirito?
L’unica cosa che ci rimane è sopportare e non fare nulla se non per noi stessi nell’immediato?
E’ la rassegnazione del venerdì e del sabato santo?

    Il giorno dopo il sabato le donne tristi e rassegnate che vanno al sepolcro di Gesù (e anche ai nostri sepolcri) trovano una pietra spostata dal sepolcro e i segni della morte spazzati via dal terremoto della resurrezione.
    E insieme alla pietra anche la tristezza paralizzante è tolta e c’è un nuovo slancio di vita che muove il loro cuore, i loro piedi e le loro mani. E’ di questo terremoto di vita che ho bisogno, che abbiamo bisogno. Non voglio rimanere ingabbiato e immobilizzato dai segni di morte che si moltiplicano e che vorrebbero gettarmi nel non-impegno e nella tristezza del vivere solo per me stesso e basta.
    La resurrezione di Gesù e anche nostra, è per noi. E’ un segnale di vita, è un elettroshock spirituale che dal quell’alba di Gerusalemme si è diffuso fino a noi, a me oggi. Molti nella storia ci hanno creduto e lo hanno vissuto. L’annuncio della resurrezione si è propagati nel tempo e nello spazio ed è arrivata a me, a noi, oggi in questo giorno di Pasqua.
    Voglio entrare anche io in questa scia di testimoni e di risorti spirituali. Non voglio che la tristezza faccia da padrona nella mia vita. Chiedo al Signore che è risorto dalla sua tomba sigillata di scuotermi e di far risorgere anche me oggi, domani… sempre. So infatti che non celebro la sua Pasqua solo nella solenne messa di questa domenica, ma la celebro ogni volta che mi rialzo dalle mie rassegnazioni e tristezze e mi muovo per diventare io stesso terremoto di vita, che toglie pietre di morte e fa uscire gli altri dalle loro tombe.


Giovanni don

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