DOMENICA 13 ottobre 2019
Lungo il cammino verso Gerusalemme, Gesù attraversava la Samarìa e la Galilea.
Entrando in un villaggio, gli vennero incontro dieci lebbrosi, che si fermarono a distanza e dissero ad alta voce: «Gesù, maestro, abbi pietà di noi!». Appena li vide, Gesù disse loro: «Andate a presentarvi ai sacerdoti». E mentre essi andavano, furono purificati.
Uno di loro, vedendosi guarito, tornò indietro lodando Dio a gran voce, e si prostrò davanti a Gesù, ai suoi piedi, per ringraziarlo. Era un Samaritano.
Ma Gesù osservò: «Non ne sono stati purificati dieci? E gli altri nove dove sono? Non si è trovato nessuno che tornasse indietro a rendere gloria a Dio, all’infuori di questo straniero?». E gli disse: «àlzati e va’; la tua fede ti ha salvato!».(dal Vangelo di Luca 17,1-19)
Qualche giorno fa mi trovavo in Campania con un gruppo della parrocchia per una gita di qualche giorno tra Napoli, Pompei, Salerno e la Reggia di Caserta. Le bellezze artistiche e naturali sono state per alcuni giorni sotto i nostri occhi continuamente: le rovine meravigliose di Pompei, le bellezze barocche di Napoli, la maestosità di Caserta e della Cattedrale di Salerno, la grandezza del Vesuvio e la magnificenza del Golfo di Napoli con lo sfondo di Capri. Avevamo con noi un amico della nostra comunità parrocchiale, fra Antonio, che ha fatto dell’attenzione e della cura dei più poveri la sua missione. Tutte le grandi città hanno sacche di povertà che spesso sfuggono alla vista dei turisti. I poveri non li vediamo o forse è meglio dire che non li vogliamo vedere. Mi ha colpito quando un giorno fra Antonio, al termine del pranzo con il gruppo, si è fatto dare dal ristorante una parte non consumata del pranzo per portarlo ad un povero che lui aveva visto poco prima. Mi ha colpito questa sua attenzione nel notare all’angolo di una strada molto trafficata, che avevamo appena passato, la presenza di questo senzatetto appoggiato ad una vetrina. Attaccata ai vestiti sporchi e logori aveva una strana cintura con una cassetta dentro la quale portava presumibilmente le offerte che raccoglieva. Fra Antonio gli ha parlato un po’ con allegria e poi gli ha chiesto se voleva quel cibo.
Nel Vangelo si racconta di dieci lebbrosi che si avvicinano a Gesù e implorano pietà . La lebbra a quel tempo era segno di maledizione che tagliava fuori dalla società umana e soprattutto da Dio. Chi era lebbroso quindi stava a distanza ed era escluso. Gesù non teme di farsi avvicinare dai lebbrosi perchè proprio per chi è come loro lui è venuto a mostrare la misericordia di Dio. Nel racconto l’attenzione è fissata non tanto sul miracolo della guarigione (che di fatto viene solo accennata), ma sul fatto che solo uno è capace di accorgersi di avere ricevuto la guarigione da quell’incontro. Solo uno su 10 (davvero una percentuale bassa) torna indietro, in altre parole, si converte, perchè sente che quel che è e che ha ricevuto viene da Dio, e non può non rispondere che con il grazie e con la lode insieme al desiderio di diventare discepolo. E’ la relazione quello che cerca Gesù e che vuole coltivare con gli uomini. E’ una relazione che salva e che ci guarisce dalla lebbra del cuore che colpisce anche chi è sano nel corpo.
Chi sa dire “grazie” per quel poco o tanto che riceve, da un’altra persona e da Dio, dimostra di avere un cuore sano e capace di vita. Chi non sa dire “grazie” per quel che riceve, dimostra che è malato nel cuore ed è a rischio di morire di solitudine anche in mezzo a tanta gente e anche davanti a Dio.
La parola che definisce meglio la Messa è “Eucarestia” che letteralmente significa “rendere grazie”. La messa è il modo con il quale ci accorgiamo che Dio è con noi, che Cristo è in mezzo a noi, che abbiamo ricevuto il dono della sua presenza nel pane e nel vino, nella Parola, nella comunità dei fratelli e sorelle che ho attorno. Celebrare la Messa è celebrare il mio e nostro “grazie” a Dio che si accorge di noi, che ci vede in mezzo a tutti gli altri. L’ex lebbroso che torna a dire grazie dimostra davvero fede, cioè è capace di relazione con Gesù, mentre gli altri anche se guariti nel corpo sono ancora malati di individualismo e chiusi in sè stessi.
Ho pensato molto a quel gesto di fra Antonio che ha visto il povero e se ne è preso cura e con lui ha stabilito una pur piccola ma bella relazione di amicizia. Io non lo avevo visto, forse troppo distratto dalle bellezze artistiche che avevo attorno e dall’abitudine di pensare più a me stesso che agli altri. Forse è questa cecità a rendermi un po’ lebbroso e a rendere tutti un po’ lebbrosi nel cuore. Abbiamo bisogno di essere guariti per poi ritrovare la bellezza della relazione con il prossimo. E’ bello poter dire grazie a Dio e dire grazie anche al prossimo, povero o ricco, simpatico o antipatico, malato o sano, straniero o conterraneo…, per crescere nell’incontro e guarire davvero nel cuore.
Giovanni don
Hai detto bene,don Giovanni:avere fede significa essere capaci di relazione con gli altri; non certo alzare gli occhi al cielo dicendo i bla bla bla variamente declinati per rapportarsi ad un Dio immaginato fra le nuvole. Gesù è venuto per insegnarci ad avvicinare il prossimo senza pregiudizi,privilegiando i miseri e tutti quelli che ai benpensanti della società appaiono “strani” e “diversi” per i motivi più disparati. Da tenere lontani, ovviamente.
Ma tutto ciò, ad essere sinceri,lo si sta comprendendo soprattutto nel nostro tempo;e non tutti ancora vogliono accettarlo. Sono ancora molti quelli che identificano Dio e Gesù (il Cristo) con la dottrina catechistica; e sono convinti di essere veri cristiani perchè non perdono una Messa e si sforzano di seguire, virgola per virgola, i dettami di una Chiesa (umana) rimasta ferma e incollata ai tempi preconciliari. E inveiscono “cristianamente” contro il Papa attuale, che va al cuore del Vangelo, e contro i cattolici più aperti di mente che hanno capito che il fondamento della religione cristiana è, in realtà , l’amore per il prossimo, che è la via che porta a Dio.
Bisogna essere grati a coloro che ci dimostrano anche piccoli segni di amore.
Bisogna ringraziare Gesù per averci fatto capire, soprattutto oggi, che il vero volto del Padre è l’Amore. Dio ama le sue creature, e se riuscissimo a incamerare bene questo concetto, saremmo capaci di uniformarci almeno un po’ a questo amore, e la nostra vita spesso tormentata avrebbe maggior senso.