DOMENICA 9 settembre 2018
In quel tempo, Gesù, uscito dalla regione di Tiro, passando per Sidòne, venne verso il mare di Galilea in pieno territorio della Decà poli.
Gli portarono un sordomuto e lo pregarono di imporgli la mano. Lo prese in disparte, lontano dalla folla, gli pose le dita negli orecchi e con la saliva gli toccò la lingua; guardando quindi verso il cielo, emise un sospiro e gli disse: «Effatà », cioè: «Apriti!». E subito gli si aprirono gli orecchi, si sciolse il nodo della sua lingua e parlava correttamente.
E comandò loro di non dirlo a nessuno. Ma più egli lo proibiva, più essi lo proclamavano e, pieni di stupore, dicevano: «Ha fatto bene ogni cosa: fa udire i sordi e fa parlare i muti!».(dal Vangelo di Marco 7,31-37)
Che strano giro sta facendo Gesù! Per tornare in Galilea e in particolare lungo il grande lago dove solitamente svolge la sua missione, da Tiro, sulla costa del Mediterraneo a nord della Galilea, si dirige ancora più a nord a Sidone e con un ampio giro torna a sud ma sull’altra sponda del lago, passando così ancora in una zona pagana, la Decapoli. Per l’ebreo di quel tempo tutti questi territori sono luoghi impuri e pericolosi per chi vuole mantenere la fede. Il popolo di Israele più volte, venendo a contatto con popolazioni pagane, finisce per assorbirne le tradizioni religiose, e sostituendo così Dio con gli idoli pagani.
L’evangelista Marco che ci racconta questa guarigione, non a caso insiste nel raccontare questo “pellegrinaggio” di Gesù con i discepoli in territori che non sono i suoi. Proprio qui vuole dare ancora una volta una lezione da Maestro anche a noi discepoli di oggi. La guarigione del sordomuto (che non ha nome… e quindi ha il nostro nome), nel modo in cui è narrata, diventa un insegnamento per la nostra condizione di credenti, spesso sordi e incapaci di comunicare correttamente la nostra fede.
Mi capita qualche volta di incontrare parrocchiani in luoghi totalmente diversi da quelli della chiesa o dell’oratorio o del paese dove svolgo il mio ministero. Se mi trovo in qualche centro commerciale, o luogo di ritrovo e divertimento, come il cinema, chi mi riconosce (io sono molto più lento ne riconoscere le persone…), non di rado mi saluta con “ehi, don, ma cosa ci fai qui?”. Il prete in genere (non solo il sottoscritto) richiama sempre la dimensione religiosa nella vita di una persona, sia credente che non credente. Forse è per questo che la mia presenza di prete in certi luoghi lontani da ogni riferimento religioso appare una cosa strana e curiosa. Mi ricordo quando 40 anni fa apparvero le prime foto del neo eletto Papa Giovanni Paolo II in tuta sulle nevi mentre sciava, e davvero questo stupiva tutti. Sembra che tutto quello che riguarda la fede cristiana abbia solo alcuni luoghi ben definiti e circoscritti (la chiesa, i santuari e l’oratorio…) e solo alcuni tempi definiti (la messa, i momenti di preghiera e il catechismo). I luoghi e i tempi della vita spirituale e religiosa si può dire che oggi si restringono sempre più, e sono sempre più ampi gli spazi e i tempi dove Dio sembra non centrare più nulla. Nel linguaggio biblico, potremmo dire che il territorio pagano è sempre più ampio dello spazio di Dio.
Lo strano viaggio di Gesù, intenzionalmente lungo e tortuoso, ci indica la sua volontà anche oggi di non lasciare scoperto nessun luogo o tempo della vita delle persone. Gesù vuole essere presente non solo nei luoghi e tempi distretti della preghiera o di qualche momento di preghiera, ma in ogni spazio e momento della vita umana.
In quel suo viaggio in terra pagana Gesù arriva a guarire un sordo che a causa della sordità comunica anche male (la traduzione corretta di “muto” è “balbuziente”). Gesù vuole guarire in quel uomo sordo, la sordità di tutti i credenti, che fuori dai piccoli territori della religione, sembrano diventare incapaci di ascoltare Dio, di comprendere il Vangelo e quindi di testimoniarlo e comunicarlo correttamente. Quell’uomo malato portato a Gesù per essere guarito, ben rappresenta la sordità di noi cristiani che sembriamo davvero incapaci di comprendere le parole del Vangelo perchè il rumore di altri “idoli pagani” (denaro, competizione, potere, fretta…) ci impediscono di ascoltare Dio e anche il nostro fratello e la nostra sorella che ci stanno accanto, e attraverso i quali, come ci insegna il Vangelo, Gesù stesso ci parla.
Gesù vuole gridare “effatà “, cioè “apriti” non tanto alle nostre orecchie fisiche, ma a quelle del cuore e della mente, perchè non dimentichiamo che siamo cristiani in ogni luogo dove stiamo, e il Vangelo può parlarci in ogni situazione dodi vita, anche quella apparentemente più lontana dai soliti spazi considerati sacri.
Non mi tiro fuori da questo pericolo, anche se sono prete, perchè anche io penso a volte di dimenticare che sono cristiano quando non sono sull’altare o sto facendo catechismo. Anche a me Gesù infila il suo dito amoroso dentro l’orecchio dell’anima e con il suo Spirito vuole sciogliere la lingua, in modo che possa non smettere mai di ascoltare quello che mi comunica e che non smetta mai di comunicare in ogni contesto la sua Parola.
E se tutti riconosciamo che in fondo in fondo siamo spesso molto sordi verso Dio e i nostri fratelli, e se riconosciamo che tante volte le nostre parole sono sbagliate e incapaci di comunicare amore, allora Gesù, ci aiuterà attraverso il Vangelo ad ascoltare più Lui che altre vuote parole, e in qualsiasi luogo saremo, anche il più “pagano” non dimenticheremo la nostra fede e saremo guariti.
Giovanni don