atei per diventare credenti

Gesù insegna la via della piccolezza ai suoi discepoli che invece insistono nella via del potere e della grandezza. Hanno in mente un dio diverso da quello che insegna loro il Maestro. Per questo anche noi per diventare veri credenti dobbiamo diventare atei, rinnegando il dio falso del potere e della ricchezza al quale rendiamo culto ogni giorno.
(DOMENICA 22 settembre 2024 – XXV anno B)

 

In quel tempo, Gesù e i suoi discepoli attraversavano la Galilea, ma egli non voleva che alcuno lo sapesse. Insegnava infatti ai suoi discepoli e diceva loro: «Il Figlio dell’uomo viene consegnato nelle mani degli uomini e lo uccideranno; ma, una volta ucciso, dopo tre giorni risorgerà». Essi però non capivano queste parole e avevano timore di interrogarlo.
Giunsero a Cafàrnao. Quando fu in casa, chiese loro: «Di che cosa stavate discutendo per la strada?». Ed essi tacevano. Per la strada infatti avevano discusso tra loro chi fosse più grande. Sedutosi, chiamò i Dodici e disse loro: «Se uno vuole essere il primo, sia l’ultimo di tutti e il servitore di tutti».
E, preso un bambino, lo pose in mezzo a loro e, abbracciandolo, disse loro: «Chi accoglie uno solo di questi bambini nel mio nome, accoglie me; e chi accoglie me, non accoglie me, ma colui che mi ha mandato».
(dal Vangelo di Marco 9.30-37)

 

Forse bisogna diventare atei per diventare veri credenti. Più rileggo la storia di Gesù con i suoi gesti e le sue parole, più penso che il cammino proposto ai suoi discepoli è stato un cammino di allontanamento da Dio. I discepoli di Gesù non erano certamente atei, anzi erano fermamente convinti dell’esistenza di Dio e che il Dio dei Padri di Israele era il vero e unico Dio. Non erano teologi o esperti in liturgie, e la gran parte di loro erano solo poveri pescatori, molto probabilmente analfabeti, ed erano immersi in una società fortemente caratterizzata dalla fede in Dio e dalle tradizioni religiose.

Ad un certo punto della loro vita, non nel Tempio o in qualche momento di preghiera ma durante il loro lavoro quotidiano, incontrano questo uomo che si mostra potente nei segni e saggio nell’indicare la via di Dio. Lo seguono come Maestro di fede, pronti ad andare ovunque li avesse portati. Ma Gesù non ha in mente principalmente un percorso per la Palestina dopo aver abbandonato casa e famiglia, ma propone loro un percorso interiore che passa anche dall’abbandono di Dio. Gesù insegna ad abbandonare Dio, ma non il suo Dio che chiama Padre, ma quello che abita dentro la loro mente, dentro le loro ripetitive tradizioni che hanno finito per offuscare la vera identità di Dio, e ne hanno prodotto una caricatura che non esiste se non nella mente umana.

Il racconto degli evangelisti non nasconde la fatica dei discepoli nell’accettare fino in fondo quello che Gesù dice di sé stesso e di Dio Padre. Gesù insiste nel parlare di sconfitta, di sofferenza per amore, di croce, e loro non capiscono perché hanno in mente il Dio glorioso degli eserciti che sconfigge il male e dona ricchezza e potere umano a chi si sottomette a lui. Per loro il Messia inviato da Dio non può che essere un vincente che trova gioia nella ricchezza e nel potere, con tutti i nemici ai suoi piedi.

Ecco perché l’evangelista Marco ci riporta la difficoltà di comprendere dei discepoli che sono occupati a fare discorsi che sono all’opposto di quelli di Gesù. Hanno in testa e nel cuore un dio diverso, che devono però imparare pian piano ad abbandonare, a non crederci più, a non affidare la loro vita a questo falso dio del potere.

Devono dunque prima diventare atei, e poi ritrovare la vera fede nel Dio che annuncia loro Gesù con parole e soprattutto con la sua vita votata all’amore dei piccoli e dei poveri, con il suo dono totale che prevede anche la sconfitta della croce.

A noi fa tenerezza Gesù che abbraccia il bambino, ma se entriamo nella mentalità dei discepoli la cosa assume toni diversi e molto duri. “Chi accoglie uno solo di questi bambini…” accoglie Dio stesso! Dio come quel bambino piccolo, inerme, incompleto rispetto alle capacità e forza di un adulto. Abbracciare chi è piccolo, povero, peccatore è arrivare a Dio amore. Siamo disposti anche noi a prendere questa strada di fede?

Il nostro Dio oggi ha un nome diverso e si chiama ricchezza, successo, consenso sociale, potere politico e economico, bellezza e prestanza fisica, giovinezza senza problemi… Siamo chiamati a diventare atei di questo dio al quale, anche se non lo diciamo esplicitamente, crediamo fermamente e lo preghiamo nei riti laici della vita di oggi.

Questo non significa abbandonare la vita quotidiana e non cercare di stare bene e in salute, ma se facciamo del potere e della ricchezza il nostro unico dio, non c’è spazio per il Dio del Vangelo, e la proposta di Gesù ci pare totalmente assurda.

Ma Gesù che rimane nostro maestro di fede e anche di vita, abbraccia anche la nostra piccolezza e il nostro limite, non ci condanna, ma rilancia la proposta di trovare Dio e il suo amore non nelle cose grandi e nell’essere grandi, ma in basso, in quello che è piccolo, ma carico dell’immensità di Dio.

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