il fuoco e la cenere

Nel Vangelo troviamo il fuoco che Gesù ha acceso nel mondo per renderlo sempre nuovo. Il fuoco dello Spirito di Dio è stato affidato a noi per portarlo dentro la Storia, come succede con la torcia olimpica che viaggia di mano in mano, di nazione in nazione. Il fuoco di Dio va custodito perchè non si spenga mai.
(DOMENICA 1° settembre 2024 – XXII anno B)

 

In quel tempo, si riunirono attorno a Gesù i farisei e alcuni degli scribi, venuti da Gerusalemme.
Avendo visto che alcuni dei suoi discepoli prendevano cibo con mani impure, cioè non lavate – i farisei infatti e tutti i Giudei non mangiano se non si sono lavati accuratamente le mani, attenendosi alla tradizione degli antichi e, tornando dal mercato, non mangiano senza aver fatto le abluzioni, e osservano molte altre cose per tradizione, come lavature di bicchieri, di stoviglie, di oggetti di rame e di letti –, quei farisei e scribi lo interrogarono: «Perché i tuoi discepoli non si comportano secondo la tradizione degli antichi, ma prendono cibo con mani impure?».
Ed egli rispose loro: «Bene ha profetato Isaìa di voi, ipocriti, come sta scritto:
“Questo popolo mi onora con le labbra,
ma il suo cuore è lontano da me.
Invano mi rendono culto,
insegnando dottrine che sono precetti di uomini”.
Trascurando il comandamento di Dio, voi osservate la tradizione degli uomini».
Chiamata di nuovo la folla, diceva loro: «Ascoltatemi tutti e comprendete bene! Non c’è nulla fuori dell’uomo che, entrando in lui, possa renderlo impuro. Ma sono le cose che escono dall’uomo a renderlo impuro». E diceva [ai suoi discepoli]: «Dal di dentro infatti, cioè dal cuore degli uomini, escono i propositi di male: impurità, furti, omicidi, adultèri, avidità, malvagità, inganno, dissolutezza, invidia, calunnia, superbia, stoltezza. Tutte queste cose cattive vengono fuori dall’interno e rendono impuro l’uomo».
(dal Vangelo di Marco 7,1-8.14-15.21-23)

 

“La tradizione è custodire il fuoco, non adorare le ceneri”. È una famosa affermazione di Gustav Mahler, compositore e direttore d’orchestra austriaco del periodo tardo romantico (1860 – 1911). Al di là del contesto originario di questa affermazione, sento che può essere una efficace sintesi per comprendere il passo di Vangelo di questa domenica.

L’evangelista Marco che scrive per una comunità di cristiani in un ambiente lontano da quello del popolo di Israele, probabilmente a Roma, ci ricorda in modo molto veloce le meticolose pratiche religiose tradizionali dentro le quali si muove l’azione di Gesù e dei suoi contemporanei.

Come accade in tutte le esperienze religiose con una lunga storia, anche in quella del popolo di Israele si sono sedimentate nel corso del tempo tante pratiche devozionali, riti e tradizioni, che hanno finito per “appesantire” la vita religiosa.  Gli ebrei (e Gesù e apostoli dobbiamo ricordarlo erano ebrei) erano particolarmente attenti alla purezza davanti a Dio. Il mondo secondo la tradizione religiosa era rigidamente diviso in uomini puri e uomini impuri, in sacro e profano, dalla parte di Dio e contro Dio. Tutto era dovuto al fatto che il piccolo popolo di Israele per poter portare avanti gli insegnamenti di Dio, la Legge di Dio, si doveva distinguere e preservare dagli altri popoli e dalle altre religioni. Bisognava quindi fare di tutto per non “contaminare” la propria fede con quella degli idoli pagani. Ma tutta questa preoccupazione era pian piano diventata una montagna di pratiche esteriori di “purificazione” che avevano fatto dimenticare il “cuore” della fede, che è la scelta di Dio, il sentirsi dalla sua parte. Gesù accusa i suoi accusatori, che sono i capi religiosi, di aver perso il vero significato della “purezza”, che è questione di cuore, di scelta interiore, e non una questione di cibi, di stoviglie e altre pratiche religiose esteriori. Gesù mette in guardia da una religiosità fatta più di atti esteriori conservati e tramandati gelosamente ma che non parte dal cuore e non tocca la vita vera. Questa religione delle pratiche tradizionali da conservare integralmente alla fin fine spegne il vero incontro con Dio, il quale viene letteralmente “murato” e “fatto prigioniero” dentro un muro di tradizioni fredde e ripetitive.

Queste parole di Gesù ci provocano anche nella nostra religiosità oggi. Ormai la Storia del Cristianesimo ha un paio di millenni, durante i quali si sono accumulate moltissime tradizioni che rischiano però di non fare più da “ponte” con il messaggio originario, ma diventano “barriera”.

Quando una tradizione nella sua materialità, nei riti e consuetudini considerati immodificabili, non porta al cambiamento del cuore e non fa incontrare il Signore, allora quella tradizione non porta più a Dio ma ne sbarra il passaggio.

I riti, le consuetudini, le celebrazioni e tutto quello che nel corso della storia si è accumulato nel modo di vivere il cristianesimo, hanno il compito di tenere acceso il fuoco dell’amore di Dio in noi, un fuoco che è sempre nuovo, che è sempre capace di cambiare e portare novità. Se non fanno questo, se non alimentano il fuoco di Dio in noi, allora sono solo un inutile modo per “adorare le ceneri” del cristianesimo.

Il “si è sempre fatto così”, che sentiamo troppe volte risuonare nelle nostre comunità cristiane, è il modo migliore per mettere paletti all’azione sempre nuova di Dio, è il modo più efficace per spegnere la ricerca di Dio e il fuoco vivo del Vangelo

Giovanni don

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