Gesù è la porta della libertà, passaggio che non ha ostacoli per chiunque cerca il bene e la libertà verso un mondo più bello e fraterno. Noi siamo con lui una porta aperta se ci amiamo e se come Chiesa non escludiamo nessuno e facciamo sentire tutti benvenuti e amati.
(DOMENICA 30 aprile 2023 – IV di Pasqua anno A)
In quel tempo, Gesù disse:
«In verità, in verità io vi dico: chi non entra nel recinto delle pecore dalla porta, ma vi sale da un’altra parte, è un ladro e un brigante. Chi invece entra dalla porta, è pastore delle pecore.
Il guardiano gli apre e le pecore ascoltano la sua voce: egli chiama le sue pecore, ciascuna per nome, e le conduce fuori. E quando ha spinto fuori tutte le sue pecore, cammina davanti a esse, e le pecore lo seguono perché conoscono la sua voce. Un estraneo invece non lo seguiranno, ma fuggiranno via da lui, perché non conoscono la voce degli estranei».
Gesù disse loro questa similitudine, ma essi non capirono di che cosa parlava loro.
Allora Gesù disse loro di nuovo: «In verità, in verità io vi dico: io sono la porta delle pecore. Tutti coloro che sono venuti prima di me, sono ladri e briganti; ma le pecore non li hanno ascoltati. Io sono la porta: se uno entra attraverso di me, sarà salvato; entrerà e uscirà e troverà pascolo.
Il ladro non viene se non per rubare, uccidere e distruggere; io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza».(dal Vangelo di Giovanni 10,1-10)
In questi giorni si sta parlando della fine della pandemia. Si aspetta che per fine maggio l’OMS dichiari che l’emergenza che per tre anni ha segnato il mondo intero con lockdown e restrizioni di ogni genere sia alle spalle. Tutti abbiamo bene in mente i tempi in cui anche solo uscire dalla porta di casa era considerato pericoloso e persino quasi illegale. Si sono alzate barriere sanitarie di ogni tipo, perché giustamente dovevamo mettere un contenimento a questo virus così terribile. Porte chiuse di molti negozi e luoghi di ritrovo, barriere di plexiglas ovunque per limitare i contatti e lo stare vicini. Anche le chiese per un certo periodo sono rimaste deserte e con le porte sbarrate per evitare assembramenti. La nostra chiesa aveva la porta aperta ma inutilmente, perché la comunità non si poteva radunare. Avevamo scelto di non chiuderla fisicamente per lasciare un segno di speranza a quei pochi che passavano per strada.
La Chiesa come comunità, ancora prima del luogo concreto di culto, non può chiudere mai nessuna porta. Se nei tempi antichi i recinti sacri dei culti pagani avevano proprio la caratteristica di essere chiusi e separati (la parola “sacro” significa proprio “separato”), la nostra fede ci dice che nulla può rimanere separato ed escluso, e che ogni porta chiusa che divide ed esclude non ha a che fare con Dio.
Gesù parlando alle autorità religiose del suo tempo, entra in una polemica durissima, perché loro hanno chiuso Dio in uno spazio spirituale che esclude per le persone e le giudica, mentre Gesù è venuto a mostrare il vero volto di Dio che vede tutti come figli e non taglia fuori nessuno, tantomeno i poveri e peccatori. Per questo prende un esempio dalla vita quotidiana del suo tempo, la pastorizia, per dire chi è Dio e chi è lui, e di come davvero si fa la volontà di Dio e come si costruisce la comunità.
L’evangelista Giovanni annota che coloro a cui Gesù parla non capiscono (“Gesù disse loro questa similitudine, ma essi non capirono di che cosa parlava loro.”) e già questo mi porta a chiedere a me stesso se capisco e vivo quel che Gesù vuole dire, se noi oggi come cristiani abbiamo capito e viviamo quello che insegna il nostro Maestro.
Gesù si paragona al pastore che ha cura del suo gregge in modo totale, che conosce le pecore per nome e le pecore ascoltano la sua voce, l’unica che guida alla vita e alla libertà e non alla schiavitù. Già in questa cosa l’immagine della pastorizia viene in qualche modo “esagerata”, ed è chiaro che Gesù spinge a ripensare la comunità e il rapporto con Dio in modo totalmente diverso da quello di una religione dell’obbedienza e della massa tutta uguale, con chiusure e obblighi che non si comprendono e con la minaccia di punizioni.
Ma l’aspetto della similitudine che oggi mi colpisce è proprio quella della porta. Gesù dice ai suoi contemporanei e anche a noi oggi: “Io sono la porta: se uno entra attraverso di me, sarà salvato; entrerà e uscirà e troverà pascolo”.
Gesù è quella porta sempre aperta attraverso la quale si passa da un recinto di schiavitù ad un pascolo di libertà, mantenendo un legame reciproco tra noi e con lui, un legame forte che non mette in contraddizione libertà e unità, che non oppone le esigenze del singolo con quelle comuni.
Gesù è una porta di speranza, e passare attraverso questa porta significa iniziare ogni singola giornata con la il desiderio del bene, con lo stile della carità, con la direzione della fraternità e della salvezza del mondo. Come comunità di cristiani, come Chiesa, siamo chiamati ad essere anche noi “porta aperta” per tutti, con parole che accolgono, con atteggiamenti che fanno sentire benvenuti, con azioni che attirano chiunque cerca il bene e ha bisogno di bene.
Siamo in un tempo in cui anche se riapriamo le porte per il post-Covid, altre porte si chiudono tra le nazioni, tra i popoli, tra ricchi e poveri, tra categorie sociali… e anche tra famiglie sullo stesso pianerottolo di casa. E può succedere che se anche le porte fisiche delle chiese rimangono aperte, quelle mentali dei cristiani si chiudano.
“Io sono la porta”, dice Gesù a noi. Ed è una porta senza porta, ma che porta alla libertà e alla fraternità.
Anch’io per il Battesimo posso dire con Gesù, “io sono una porta” … mentre mi domando se questa mia porta è chiusa ai fratelli oppure aperta, come Gesù lo è sempre per me.
Giovanni don