Tenersi pronti significa non essere indifferenti. Tenersi pronti è guardarsi attorno e non il nostro naso. Essere pronti è rischiare il cambiamento… uscendo dal confort che alla fine però appiattisce. È voglia di cambiare e cogliere l’occasione che il Vangelo mi da di essere protagonista nel fare il bene del prossimo. Solo così il Natale che viene non è un vuoto e rassicurante ripetersi di tradizioni ma cambiamento vero.
(DOMENICA 27 novembre 2022 – I di Avvento anno A)
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Come furono i giorni di Noè, così sarà la venuta del Figlio dell’uomo. Infatti, come nei giorni che precedettero il diluvio mangiavano e bevevano, prendevano moglie e prendevano marito, fino al giorno in cui Noè entrò nell’arca, e non si accorsero di nulla finché venne il diluvio e travolse tutti: così sarà anche la venuta del Figlio dell’uomo. Allora due uomini saranno nel campo: uno verrà portato via e l’altro lasciato. Due donne macineranno alla mola: una verrà portata via e l’altra lasciata.
Vegliate dunque, perché non sapete in quale giorno il Signore vostro verrà. Cercate di capire questo: se il padrone di casa sapesse a quale ora della notte viene il ladro, veglierebbe e non si lascerebbe scassinare la casa. Perciò anche voi tenetevi pronti perché, nell’ora che non immaginate, viene il Figlio dell’uomo».
(dal Vangelo di Matteo 24,37-44)
“Siate pronti” (“estote parati” in latino e “be prepared” in inglese) è lo slogan scelto Robert Baden-Powell, generale e poi scrittore ed educatore inglese, agli inizi del 900 per il movimento scout da lui fondato. Gli scout si sono poi diffusi in tutto il mondo, oltre i confini dell’isola britannica e anche in altre tradizioni culturali e religiose del mondo.
Il motto viene proprio dalle parole del Vangelo di questa domenica e forse ci aiuta a capire in modo corretto cosa Gesù voleva dire con questa esortazione. Ad una prima lettura le parole “tenetevi pronti”, insieme a “vegliate” sembrano essere più un avvertimento minaccioso che un messaggio di speranza. Gesù certo non ci aiuta usando anche lo stranissimo paragone dove la venuta di Dio è come quella di un ladro di notte. Anche poco sopra usando l’esempio del diluvio universale e dell’arca di Noè dove solo in pochi scampano, non ci viene certo da star tranquilli.
Ancora una volta non possiamo rimanere alla superfice delle parole staccate dal loro contesto. Chi parla è sempre lui, Gesù, che è venuto a dare la vita e non a toglierla, a salvare e non a condannare, parla per dare una notizia di speranza e non messaggi paurosi. Gesù vuole farci crescere come amici e come figli di Dio e non come schiavi e sottomessi.
Il discorso che troviamo è all’interno di una serie di insegnamenti ed esortazioni che Gesù pronuncia nel grande Tempio di Gerusalemme, che con la sua maestosità voluta dal Grande Erode, sembra più esaltare l’uomo che Dio, più la sicurezza delle tradizioni che la fedeltà alla Parola di Dio che invita a cambiare il mondo. Gesù vuole davvero “svegliare” i suoi contemporanei dal sonno spirituale e umano che rende indifferenti e chiusi nel proprio piccolo mondo, anche religioso. Gesù è Dio che entra concretamente, anzi fisicamente, dentro alla storia umana, ed è questo quello che celebreremo a Natale. Il tempo dell’Avvento è l’occasione per arrivare “svegli” all’appuntamento celebrativo perché ci cambi e non rimanga solamente un vuoto e rassicurante evento tradizionale.
Ecco allora che nella prima domenica il discorso dai toni “apocalittici” è l’occasione per risvegliare il nostro desiderio vero di incontrare Dio, di sperimentare la fede che ci rende protagonisti nel cambiamento di vita e del mondo.
Nel diluvio che sommerge gli uomini e le donne del tempo di Noè che non si sono accorti di nulla, possiamo davvero riconoscere i tanti diluvi di oggi che spesso ci trovano impreparati, distratti e peggio ancora indifferenti.
Le guerre ci colpiscono sui media ma non ci toccano, la povertà e le ingiustizie di tanti popoli le dimentichiamo, e anche i problemi di chi ci abita accanto o addirittura siede accanto a noi dove studiamo o lavoriamo non li vediamo. Gesù denuncia questa indifferenza che è mortale non solo per chi sta male ma anche per chi non fa nulla.
Qualunque sia la mia vita, la mia occupazione e condizione economica e sociale, quello che capita ai miei fratelli e sorelle mi interessa e mi deve toccare. Così ha fatto Dio stesso con Gesù, prendendo la carne e il sangue di ogni essere umano, a cominciare dai più piccoli e poveri. Se mi dico cristiano e voglio davvero celebrare il Natale, devo riaccendere le luci del cuore e della mente, sia come singolo che come comunità, e fare mia la vita del prossimo.
Alla Stazione di Milano, in una zona sotterranea, dove verso la fine della seconda guerra mondiale dai binari partivano i carri merci con dentro migliaia di ebrei e avversari politici in direzione dei campi di concentramento, ora c’è un monumento a loro ricordo. C’è una grandissima scritta con la parola “indifferenza”. È l’indifferenza che rende possibili le violenze e ingiustizie. È l’indifferenza di chi non fa nulla perché pensa che non sia affar suo quel che succede al prossimo. È l’indifferenza però che ha travolto anche gli abitanti del mondo quando è venuto il diluvio universale e non si sono adoperati per salvarsi reciprocamente.
“State pronti” e “vegliate” per Gesù sono un invito a uscire dall’indifferenza e a decidersi di dare il proprio contributo senza girarci dall’altra parte.
È questo quello che voleva Baden-Powell dai suoi scout: essere sempre pronti a servire, migliorare il mondo che abitiamo, mettersi a servizio prontamente di chi ha bisogno.
In questo Avvento posso di nuovo imparare a tenermi pronto ad incontrare Gesù che mi viene incontro in carne e ossa ancora prima del 25 dicembre, in un modo che non so, in un volto e in una storia che non pensavo… ma è Lui!
Giovanni don