DOMENICA 19 maggio 2019
Quinta di Pasqua
Quando Giuda fu uscito [dal cenacolo], Gesù disse: «Ora il Figlio dell’uomo è stato glorificato, e Dio è stato glorificato in lui. Se Dio è stato glorificato in lui, anche Dio lo glorificherà da parte sua e lo glorificherà subito.
Figlioli, ancora per poco sono con voi. Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri.
Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri».
(dal Vangelo di Giovanni 13,31-35)
Secondo una nota definizione, il brand è “un nome, termine, segno, simbolo, o disegno, o una combinazione di questi che mira a identificare i beni o i servizi di un venditore o un gruppo di venditori e a differenziarli da quelli dei concorrenti” (American Marketing Association)
Per fare un paio di esempi, se vedi due archi gialli accoppiati un po’ stretti al vertice pensi subito alla famosa catena di ristorazione McDonald’s, oppure se vedi una specie di virgola grande orizzontale, anche se non c’è scritto nulla, se conosci il mondo dell’abbigliamento sportivo capisci immediatamente che si tratta del brand Nike. E di esempi ne potremmo fare infiniti.
Creare un brand semplice e immediato che sia subito riconoscibile da tutti e nel modo più diffuso, è fondamentale per una azienda, soprattutto per differenziarsi dagli altri concorrenti sullo stesso prodotto.
Anche le religioni hanno il loro “brand” che le identifica e distingue una dalle altre in modo immediato e semplice. Una croce, una mezzaluna e una stella a 6 punte per noi richiamano immediatamente il cristianesimo, l’islam e l’ebraismo. Gli altri simboli magari meno immediati per noi, in altre parti del mondo, richiamano altrettante grandi o piccole tradizioni religiose.
Per noi cristiani la croce, in tutti i modi in cui può essere fatta, richiama in sintesi la nostra fede. Bisogna ricordare che come simbolo di appartenenza alla fede cristiana però non è stata subito accolta dai primi discepoli e dalle prime comunità cristiane. Ci vorranno secoli perchè la croce con il Cristo appeso morto sia accolta e diffusa, così come la vediamo oggi. La croce è quel passaggio fondamentale della vita di Gesù sulla quale lui dona tutto sè stesso per amore, un dono che inizia però già con la sua nascita umana e tutta una vita spesa per amore. La croce è la sintesi dell’amore di Gesù che però senza resurrezione non avrebbe senso e futuro. La croce è il simbolo, o “brand” in termini moderni, del cristianesimo, ma solo se compresa fino in fondo e senza dimenticare l’evento della resurrezione che non si può sintetizzare in un simbolo ma solo raccontare e testimoniare, così come fin dall’inizio è capitato.
Il Vangelo di oggi ha un passaggio fondamentale che mi ha fatto riflettere davvero su quale sia il vero e definitivo “brand” che identifica il cristianesimo, e che non è la croce.
“Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri”.
Gesù nell’ultima cena, alla vigilia della crocifissione, dà le ultime e definitive istruzioni alla sua comunità di discepoli e amici. Tra queste istruzioni c’è questo comando di amarsi gli uni gli altri. Ed è dall’amore reciproco che si riconoscerà in eterno che sono suoi discepoli.
Sembra così semplice e quasi “banale” che sia l’amore il segno distintivo dei discepoli, eppure è proprio quello il vero “brand” che li identifica: un amore come il suo, totale, fatto di dono, senza tornaconto, pronto al sacrificio e capace di dare vita.
Il “brand” spesso divide, perchè identifica una parte in contrapposizione ad un’altra. Questo è essenziale nei prodotti commerciali, e lo diventa purtroppo anche nel discorso delle religioni, quando ci si fa la guerra per i simboli. Lo vediamo drammaticamente anche in questi giorni in alcune parti del mondo (ultimamente in Sri Lanka e Burkina Faso) quando sono stati attaccati facendo stragi alcuni luoghi sormontati dalla croce, in odio a quel simbolo e a quello che rappresenta. Ma è successo purtroppo spesso nella storia quando gli uomini si sono contrapposti violentemente in base ai loro simboli religiosi.
Gesù personalmente sceglie l’amore reciproco come segno distintivo dei suoi discepoli. Questo apre uno spiraglio di universalità che è proprio nel cuore del Vangelo. Gesù dona la sua vita sulla croce e risorge da morte per tutti, in una speranza di amore universale e comunione universale di cui proprio i cristiani devono essere i primi testimoni, con la chiara missione non di imporre una religione a discapito di un’altra, ma di amare come lui ha amato.
Da cosa si vede quindi che siamo cristiani in una famiglia, in una comunità parrocchiale e diocesi? Solo da più o meno grandi croci su pareti ed edifici? Se seguiamo davvero fino in fondo il Vangelo capiamo che il vero “brand” di Gesù è il suo amore nelle nostre mani, nelle nostre parole, nelle nostre relazioni umane e nel rapporto che abbiamo con il mondo.
Giovanni don
La croce come simbolo del cristianesimo ha dato luogo per molti secoli ad un fraintendimento che ancora oggi continua ad esserci. Ovvero,se si vuole la salvezza, si DEVE attraversare, per forza di cose, la strada della sofferenza. Questo è “dolorismo” che ha falsato la sostanza della religione cristiana.
A ben guardare la vita di ogni persona si snoda attraverso molteplici sofferenze, piccole e grandi, che sono altrettante croci; al punto che a volte si desidererebbe non essere mai nati, e alcuni arrivano addirittura a togliersela la vita. Sono dati di fatto, questi, e nessuno può smentirli.
Ma Dio, comunque lo si voglia configurare, non può avere creato la vita per la sofferenza. Se la sua essenza è l’Amore, non può esserci contraddizione tra Dio e Vita.
In realtà , ciò che sostanzia la nostra religione è il comandamento nuovo lasciatoci da Gesù: “amatevi l’un l’altro come io ho amato voi”. La qual cosa significa che lo scopo primario della vita di ogni essere umano è l’amore per i fratelli, cioè verso tutti gli esseri umani dell’intero pianeta, e verso tutti gli esseri viventi( animali e piante). Non è per niente facile, in verità , ma dà un senso vero all’esistenza.
Se questo “senso” venisse fatto capire ai bimbi fin da piccolissimi, e poi ai ragazzi che vanno al catechismo, forse si potrebbe fare a meno di dottrine varie e di simboli esteriori, e verrebbe evitata gran parte di quella cattiveria umana che causa tante sofferenze ed ingiustizie.
Troppi cristiani ancora non hanno capito.
Il Regno di Dio o dei cieli lo si crea qui, in questo mondo terreno, amando e diffondendo l’Amore.