In quel tempo, Gesù, riprese a parlare con parabole e disse:
«Il regno dei cieli è simile a un re, che fece una festa di nozze per suo figlio. Egli mandò i suoi servi a chiamare gli invitati alle nozze, ma questi non volevano venire.
Mandò di nuovo altri servi con quest’ordine: Dite agli invitati: “Ecco, ho preparato il mio pranzo; i miei buoi e gli animali ingrassati sono già uccisi e tutto è pronto; venite alle nozze!”. Ma quelli non se ne curarono e andarono chi al proprio campo, chi ai propri affari; altri poi presero i suoi servi, li insultarono e li uccisero. Allora il re si indignò: mandò le sue truppe, fece uccidere quegli assassini e diede alle fiamme la loro città .
Poi disse ai suoi servi: “La festa di nozze è pronta, ma gli invitati non erano degni; andate ora ai crocicchi delle strade e tutti quelli che troverete, chiamateli alle nozze”. Usciti per le strade, quei servi radunarono tutti quelli che trovarono, cattivi e buoni, e la sala delle nozze si riempì di commensali.
Il re entrò per vedere i commensali e lì scorse un uomo che non indossava l’abito nuziale. Gli disse: “Amico, come mai sei entrato qui senza l’abito nuziale?”. Quello ammutolì. Allora il re ordinò ai servi: “Legatelo mani e piedi e gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti”.
Perchè molti sono chiamati, ma pochi eletti».
(dal Vangelo di Matteo 22,1-14)
Quando mi capita di andare in stazione o all’aeroporto, mentre c’è da aspettare, mi fermo spesso ad osservare la massa di persone che ci sono. Questi luoghi di transito sono dei veri incroci di storie umane. Mi ritrovo ad osservare le persone cercando di immaginare da dove vengono e dove vanno, perchè sono li… Forse aspettano qualcuno, o stanno partendo per una vacanza o per lavoro. Chissà quali storie ognuno ha da raccontare, e quali strade di vita stanno percorrendo… E in quel momento passano accanto a me e accanto ad altri, incrociandosi fisicamente nella hall della biglietteria o nei corridoi… In una stazione o aeroporto (come anche in altri posti affollati di gente…) c’è veramente di tutto, e l’umanità si mescola dal punto di vista culturale, razziale, religioso molto di più che nelle nostre chiese o in altri posti dove la gente si incontra ma suddivisa a seconda delle categorie a cui appartiene: in chiesa vengono quelli che sono cristiani e vogliono celebrare la messa, in quel determinato locale o bar ci vanno persone che si riconoscono e conoscono tra loro, allo stadio vanno coloro a cui piace quello sport e tifano la stessa squadra…
Se Gesù raccontasse oggi a noi la sua parabola, narrerebbe che i servi, mandati dal re a raccogliere ai crocicchi delle strane i nuovi invitati alla sua festa, sono andati nelle stazioni e negli aeroporti a cercare chi può andare alla festa. E davvero verrebbero radunate persone diversissime tra loro, che hanno in comune solo il fatto di essere li presso questi incroci al momento di esser chiamati. E questo fa si che proprio a tutti, senza distinzione e meriti particolari, è data occasione di essere invitati alla festa del re, che nelle intenzioni di Gesù rappresenta la relazione con Dio e il regno che Dio vuole costruire con l’umanità .
Nel racconto che Gesù fa non si può non notare di nuovo (come nelle due parabole raccontare precedentemente e lette le scorse domeniche) l’insistenza su un rifiuto che porta chi è stato chiamato per primo ad essere alla fine escluso. Dio Padre per mezzo di Gesù vuole fare festa con l’umanità e vuole costruire un cammino di pace e fratellanza. Ma questo invito è stato rifiutato prima dai contemporanei di Gesù, ma poi anche da chi nel corso della storia, anche nella Chiesa stessa, ha rifiutato di far parte della festa, rifiutando di fatto il Vangelo.
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Ma Dio, anche se c’è il rifiuto di qualcuno, non smette di sognare che questa festa sia fatta. Tutto è pronto, racconta la parabola, cioè tutto è pronto perchè il mondo che viviamo diventi regno di Dio. E ognuno può contribuire perchè questo regno si compia, da qualsiasi provenienza venga e verso qualsiasi meta sia diretto nella propria vita. Gesù si spinge oltre nel descrivere chi è invitato, dicendo “quei servi radunarono tutti quelli che trovarono, cattivi e buoni, e la sala delle nozze si riempì di commensali”. Cattivi e buoni (non so in base quale criterio o codice morale… ma forse non importa…) possono fare la loro parte, basta che accettino di entrare in questo Regno di Dio, che è come una festa di nozze di un re, cioè un luogo di ricchezza umana e di pace.
Quando vedo la massa di persone che si incrociano alla stazione, penso dunque a questa parabola. Non mi dimentico che in mezzo a questo incrociarsi di persone ci sono anche io, con quello che ho di cattivo e di buono pure io… Anche io, così come quello che mi passa accanto adesso e di cui non so nulla, ma è li con me… tutti siamo invitati dai servi del re.
E poi mi ricordo come cristiano che sono anch’io un servo del Re dei cieli. Ho anche io il compito di andare agli incroci dell’umanità e far udire che tutti sono invitati da Dio. Non una sola categoria, non solo chi la pensa come me, non solo chi rispetta le mie regole… ma tutti sono invitati. Questo è il mio compito…
Giovanni don
p.s.
anch’io come amante e utilizzatore della tecnologia dei computer vorrei lasciare un piccolo ricordo di un uomo, Steve Jobs, di cui conosco poco la vita, se non quello che ha fatto per un campo a cui tengo particolarmente: la comunicazione.
Ricordarlo, mi aiuta a ricordare come personalmente come cristiano non posso non sforzarmi perchè le strade della comunicazione umana diventino più facili e aperte. Senza comunicazione (con qualsiasi mezzo diretto o tecnologico…) le relazioni umane muoiono. Oggi abbiamo sempre più mezzi per comunicare… abbiamo quindi sempre meno alibi per non coltivare le relazioni umane e costruire il nostro piccolo pezzo di Regno di Dio.
Grazie Don, anche oggi una riflessione molto bella. Soprattutto non mi ero mai soffermato sul fatto di essere, come dici tu, servo del Re e quindi di non essere solo chiamato “passivamente” a partecipare, ma di essere protagonista nel diffondere la notizia del Vangelo.
Ogni tanto fa bene ricordarcelo.
buona vita
Paolo
Per me è fantastico che Gesù non paragoni il regno di Dio ad una bellissima liturgia curata e preparata, ad un sontuoso tempio, neanche ad una bella assemblea di religiosi bensì ad una festa di nozze, una festa molto umana dove si mangia, si balla; dove la gioia e la felicità sono le qualità più evidenti, più ricercate… Ne deduco che incontrare Dio è da vivere come una festa, la più bella festa della nostra vita.
E poi ci sono i cattivi e i buoni. Noi nel linguaggio abituale diciamo buoni e cattivi, i buoni li mettiamo sempre prima; invece nel Vangelo (anche in altri passi) i cattivi vengono prima dei buoni. Gesù anzi ci dice che solo Uno è buono…mi viene anche in mente il richiamo a Pietro: “mettiti dietro…tu non ragioni come Dio, ma come gli uomini” Mt 16,23
Quanto bisogno abbiamo di conversione per sostituire i valori esistenti con quelli proposti da Gesù, per non sentirci già a posto, già arrivati…
Ottima riflessione,coerente con la parabola della liturgia domenicale odierna,anch’io sono convinto della importanza della comunicazione e della relazione sociale specialmente al giorno d’oggi. Anche in questo momento stiamo usufruendo dello sviluppo tecnologico di Steve Jobs che se adoperato responsabilmente è una ricchezza ulteriore per l’umanità !Cerchiamo di relazionare con i “crocicchi della storia ” e buona domenica a tutti !Gianni
@Nuccia
ciao, un chiarimento: i cattivi sono invitati al banchetto, come i buoni e prima dei buoni, ma…non possono prendervi parte da “cattivi”, ma da cattivi convertiti, e naturalmente c’è la necessità anche di una “conversione dei buoni”. Chi si converte indossa l’abito nuziale, altrimenti si rimane nelle tenebre, con mani e piedi legati…impossibilitati a migliorare la propria esistenza.
Attenzione ancora che questa conversione non è l’accettazione di una nuova dottrina, ma l’accoglienza e la disponibilità a trasmettere l’amore di Dio.
Ok?
Ma questo invito è stato rifiutato anche da chi , anche nella Chiesa stessa, ha rifiutato di far parte della festa, rifiutando di fatto il Vangelo.
vedi Welby , Marcincus ; Eluana,la comunione a Berlusconi ,…..
La riflessione si è concentrata molto sull’aspetto di festa. A cui sono tutti chiamati (ecco che qui viene definito il carattere UNIVERSALE ovvero CATTOLICO della nuova Chiesa che Gesù creerà ).
Purtroppo questo aspetto di festa viene spesso frainteso. Ho sentito genitori dirmi: “non vado sempre a messa perchè ci sono giorni in cui non mi va, andare deve essere una festa, e se no che festa è?”.
Forse proprio quando si è tristi e bisognosi di speranza occorrerebbe andare a Messa a nutrirci del Pane di Vita …. ma se nessuno lo spiega e viene invece passato il primo messaggio, alla fine il risultato è questo.
Ma voglio dare un contributo alla parte successiva (che il Don non ha avuto tempo di spigarci?):
“Il re entrò per vedere i commensali e lì scorse un uomo che non indossava l’abito nuziale. Gli disse: “Amico, come mai sei entrato qui senza l’abito nuziale? . Quello ammutolì. Allora il re ordinò ai servi: “Legatelo mani e piedi e gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti .
Perchè molti sono chiamati, ma pochi eletti».”
Ecco, ad Assisi, al corso per “fidanzati” (questo è il brend noto, il nome del corso è “fondamenti biblici all’amore umano”) Padre Giovanni (francescano d.o.c) ci ha detto di scrivere sul biglietto della partecipazione questa frase:
“… è gradito un bell’abito nuziale, ovvero una bella e piena confessione”.
Ecco l’abito nuziale gradito a Dio!
🙂
Buona settimana a tutti.
Francesco
A Lamezia, il Papa ha celebrato la Messa nella zona industriale ex-Sir, commentando la parabola, tratta dal Vangelo della domenica, del banchetto di nozze cui molti sono invitati, ma non tutti accettano l’invito nè a tutti è poi chiesto di rimanere.
È vero, tutti sono invitati a entrare dal re, ma «c’è una condizione per restare a questo banchetto di nozze: indossare l’abito nuziale. Ed entrando nella sala, il re scorge qualcuno che non l’ha voluto indossare e, per questa ragione, viene escluso dalla festa».
Anche questo è un passaggio importante della parabola, che non dobbiamo trascurare: «come mai questo commensale ha accettato l’invito del re, è entrato nella sala del banchetto, gli è stata aperta la porta, ma non ha messo l’abito nuziale?». Ma, anzitutto, «cos’è quest’abito nuziale? Nella Messa in Coena Domini di quest’anno – ricorda il Papa – ho fatto riferimento a un bel commento di san Gregorio Magno [540 ca.-604] a questa parabola. Egli spiega che quel commensale ha risposto all’invito di Dio a partecipare al suo banchetto, ha, in un certo modo, la fede che gli ha aperto la porta della sala, ma gli manca qualcosa di essenziale: la veste nuziale, che è la carità , l’amore. E san Gregorio aggiunge: “Ognuno di voi, dunque, che nella Chiesa ha fede in Dio ha già preso parte al banchetto di nozze, ma non può dire di avere la veste nuziale se non custodisce la grazia della Carità (Homilia 38,9: PL 76,1287)».
E san Gregorio dice qualcosa di più, aggiunge che «questa veste è intessuta simbolicamente di due legni, uno in alto e l’altro in basso: l’amore di Dio e l’amore del prossimo (cfr ibid.,10: PL 76,1288)». Dunque, sì, «tutti noi siamo invitati ad essere commensali del Signore, ad entrare con la fede al suo banchetto», ma c’è una condizione per essere ammessi a restarci: «dobbiamo indossare e custodire l’abito nuziale, la carità , vivere un profondo amore a Dio e al prossimo», trovare davvero e sempre tempo per Dio.
Queste osservazioni, ha proseguito il Papa, potrebbero sembrare riferite solo alla vita spirituale, ma non è così.
Ai laici il Papa ha raccomandato lo studio della dottrina sociale della Chiesa e un impegno che non abbia «paura di vivere e testimoniare la fede nei vari ambiti della società , nelle molteplici situazioni dell’esistenza umana! Avete tutti i motivi per mostrarvi forti, fiduciosi e coraggiosi, e questo grazie alla luce della fede e alla forza della carità . E quando doveste incontrare l’opposizione del mondo, fate vostre le parole dell’Apostolo: «Tutto posso in colui che mi dà la forza» (Fil 4,13)».
«Così – ha aggiunto il Pontefice – si sono comportati i Santi e le Sante, fioriti, nel corso dei secoli, in tutta la Calabria». E all’Angelus a Lamezia ha aggiunto che «la fede dei Santi rinnova il mondo»
@Dele
Noi non siamo chiamati perchè siamo buoni e ce lo meritiamo, ma perchè diventiamo buoni, lasciandoci incontrare e affascinare dalla Buona Notizia di vita bella, buona e felice da parte di Dio.
L’abito nuziale vuol dire rivestirci di Cristo, fare nostri i suoi gesti, il suo sguardo, le sue parole, le sue mani, i suoi sentimenti, le sue preferenze…
esiste anche il pericolo di di abituarci alla festa, di cadere nella routine della fede, di essere troppo indaffarati per gioire…
@Francesco
ciao, sono belle le parole del papa e determinanti: non possiamo vedere nel banchetto nuziale il banchetto eucaristico? e quanta gente, decisamente troppa, vi prende parte senza “l’abito nuziale”? Ma non è direttamente colpa loro, la gente è maleinformata sulle corrette dinamiche delle celebrazioni cristiane.
Però la messa domenicale dovrebbe essere una celebrazione festosa e gioiosa, è la festa della sconfitta della morte, non un funerale!!!
@Dele, mi fa piacere sapere che ti piacciano le parole del Papa.
Messa domenicale dovrebbe è una celebrazione festosa e gioiosa, ma non va confusa (o peggio messa in competizione) con una festa pagana o laica.
Deve essere quello che è: una festa per il cuore, una bellezza ed una gioia per l’anima.
Metterla in competizione (faccio un’esempio) con una festa allo stadio non ha alcun senso.
Mica possiamo portare i fuori artificiali in chiesa?!!!
Ma anche se fosse possibile…
E quando li vuoi accendere? All’elevazione?
No, … non è ciò che intendo per “cura liturgica”.
Francesco
@Francesco
Non darei per scontato un piccolo spettacolo pirotecnico, o qualche effetto laser durante le messe future…..perchè no, è arrivata la lingua popolare, le chitarre e i cori “profani”……ma deve rimanere una festa del cuore, una bellezza ed una gioia dell’anima, appunto, non un funerale. Ed è inutile girargli intorno affermando che è una festa sì, ma una festa diversa, c’è gioia si, ma una gioia diversa…….o è festa o non è festa, o è gioia o non è gioia…(anche Gesù ha detto qualcosa del genere?!?!)
Il tutto ovviamente non significa lo stadio!!!!
@Dele, sono opinioni, … ma nemmeno poi tanto…. per fortuna! Per fortuna non decidiamo ne io e ne te.
Provo quindi a spiegare perchè non mi trovi d’accordo.
Se voglio andare ad una festa fatta di luci e suoni e baccano, … ho mille proposte, perchè la Chiesa?
OK per l’oratorio, ma NO, non durante la celebrazione.
Perchè dire NO? E’ oggi difficile dire no, occorre giustificarlo.
Perchè o si fa raccoglimento, o c’è silenzio per agevolare la preghiera, … o non c’è preghiera e c’è solo festa.
Ma se io sono triste, magari ho un lutto nel cuore, e tutto ciò che desidero è avvicinarmi a Lui che è sorgente di vita, … non lo posso fare nel baccano assordante!
Non trovo Gesù nello sballo! E nemmeno nell’assistere una festa quando io dentro ho tutt’altro.
E’ una questione di rispetto, e quindi … di Amore.
Spero che tu riesca a capire il mio pensiero.
Ricordiamoci che Gesù è venuto per i malati e non per i sani!
Il mio desiderio è invece un posto, un tempo in cui ci sia qualcosa di assolutamente straordinario, di differente da ciò che offre il mondo, perchè solo Gesù lo può offrire, e vorrei che sia celebrata in sintonia con questa realtà .
Se invece la banalizziamo e passiamo il messaggio che è importante fare una bella festa, che è Gesù a volerlo, la mettiamo in competizione con delle feste, … allora la gente andrà alla festa più bella e non è detto che sia quella organizzata dal parroco.
Francesco
Forse più delle mie parole vi potranno piacere le parole del Papa, sul tema “La vera gioia è la fiducia in Dio”.
Benedetto XVI ha proseguito nella parte della sua «scuola della preghiera» dedicata ai Salmi, passando dallo scenario tragico dei testi commentati nelle settimane precedenti a «un Salmo dalle note festose, una preghiera che, nella gioia, canta le meraviglie di Dio». Si tratta del Salmo 126 – secondo la numerazione greco-latina 125 -, che celebra l’opera meravigliosa del Signore sia nella storia d’Israele sia nella storia personale di ogni credente.
Così inizia il Salmista:
«Quando il Signore ristabilì la sorte di Sion, ci sembrava di sognare.
Allora la nostra bocca si riempì di sorriso, la nostra lingua di gioia» (vv. 1-2a).
Il Papa attira la nostra attenzione sull’uso, che non è casuale, del verbo «ristabilire». Una situazione è «ristabilita» quando è «restituita allo stato originario, in tutta la sua precedente positività ».
Questa restaurazione nello stato primordiale voluto da Dio di una situazione che il peccato e la storia hanno compromesso è frequente nella Sacra Scrittura. La ritroviamo nella vicenda di Giobbe, quando «il Signore gli ridona tutto quanto aveva perduto, raddoppiandolo ed elargendo una benedizione ancora maggiore (cfr Gb 42,10-13)»; ed è «quanto sperimenta il popolo d’Israele ritornando in patria dall’esilio babilonese».
Anzi, «è proprio in riferimento alla fine della deportazione in terra straniera che viene interpretato questo Salmo: l’espressione “ristabilire la sorte di Sion è letta e compresa dalla tradizione come un “far tornare i prigionieri di Sion ».
Come al solito nei Salmi, c’è un significato legato alla storia d’Israele, e uno universale che coinvolge tutti noi. «In effetti, il ritorno dall’esilio è paradigma di ogni intervento divino di salvezza perchè la caduta di Gerusalemme e la deportazione a Babilonia sono state un’esperienza devastante per il popolo eletto, non solo sul piano politico e sociale, ma anche e soprattutto sul piano religioso e spirituale. La perdita della terra, la fine della monarchia davidica e la distruzione del Tempio appaiono come una smentita delle promesse divine, e il popolo dell’alleanza, disperso tra i pagani, si interroga dolorosamente su un Dio che sembra averlo abbandonato. Perciò, la fine della deportazione e il ritorno in patria sono sperimentati come un meraviglioso ritorno alla fede, alla fiducia, alla comunione con il Signore».
Qui, afferma il Papa, è importante che noi comprendiamo – dopo avere meditato nelle scorse settimane su Salmi ispirati al dolore e alla tragedia – che nella storia talora Dio offre pure, come in questo caso, «un’esperienza di gioia straripante, di sorrisi e grida di giubilo, talmente bella che “sembra di sognare . Gli interventi divini hanno spesso forme inaspettate, che vanno al di là di quanto l’uomo possa immaginare; ecco allora la meraviglia e la letizia che si esprimono nella lode: “Il Signore ha fatto grandi cose ». Così, infatti, prosegue il Salmo:
«Allora si diceva tra le genti:
“Il Signore ha fatto grandi cose per loro .
Grandi cose ha fatto il Signore per noi:
eravamo pieni di gioia» (vv. 2b-3).
Per quanto in certi momenti ci possa sembrare difficile da credere, questa verità rimane: «Dio fa meraviglie nella storia degli uomini». Anche le nazioni pagane, le «genti», si rendono conto che a favore del popolo ebraico dev’esserci stato un qualche intervento straordinario e divino, e «Israele fa eco alla proclamazione delle nazioni, e la riprende ripetendola, ma da protagonista, come diretto destinatario dell’azione divina: «Grandi cose ha fatto il Signore per noi»; “per noi , o ancor più precisamente, “con noi , in ebraico “‘immanû”, affermando così quel rapporto privilegiato che il Signore intrattiene con i suoi eletti e che troverà nel nome Immanuel, “Dio con noi , con cui viene chiamato Gesù, il suo culmine e la sua piena manifestazione».
La preghiera può essere certo – il Papa ne ha parlato nelle scorse settimane – un grido di angoscia che si leva a Dio da una situazione difficile. E tuttavia è anche vero che «nella nostra preghiera dovremmo guardare più spesso a come, nelle vicende della nostra vita, il Signore ci ha protetti, guidati, aiutati e lodarlo per quanto ha fatto e fa per noi. Dobbiamo essere più attenti alle cose buone che il Signore ci dà ».
Rischiamo spesso di perdere il senso della gratitudine verso Dio. «Siamo sempre attenti ai problemi, alle difficoltà e quasi non vogliamo percepire che ci sono cose belle che vengono dal Signore. Questa attenzione, che diventa gratitudine, è molto importante per noi e ci crea una memoria del bene che ci aiuta anche nelle ore buie. Dio compie cose grandi, e chi ne fa esperienza – attento alla bontà del Signore con l’attenzione del cuore – è ricolmo di gioia».
I benefici del Signore devono dunque essere occasione di una gratitudine che ci dà l’autentica gioia. Ma è lecito chiedere a Dio che continui ad elargirci i suoi benefici, e dunque così continua il Salmo:
«Ristabilisci, Signore, la nostra sorte, come i torrenti del Negheb.
Chi semina nelle lacrime mieterà nella gioia.
Nell’andare, se ne va piangendo,
portando la semente da gettare,
ma nel tornare, viene con gioia,
portando i suoi covoni» (vv. 4-6).
Sembrerebbe che ci sia qui una contraddizione. «Se all’inizio della sua preghiera, il Salmista celebrava la gioia di una sorte ormai ristabilita dal Signore, ora invece la chiede come qualcosa ancora da realizzare. Se si applica questo Salmo al ritorno dall’esilio, questa apparente contraddizione si spiegherebbe con l’esperienza storica, fatta da Israele, di un ritorno in patria difficile, solo parziale, che induce l’orante a sollecitare un ulteriore intervento divino per portare a pienezza la restaurazione del popolo».
Ricordiamo però che la Sacra Scrittura ha sempre un valore universale: non è mera cronaca delle vicende del popolo ebraico ma intende trasmettere un messaggio di salvezza anche a noi. E dunque «il Salmo va oltre il dato puramente storico per aprirsi a dimensioni più ampie, di tipo teologico. L’esperienza consolante della liberazione da Babilonia è comunque ancora incompiuta, “già avvenuta, ma “non ancora contrassegnata dalla definitiva pienezza. Così, mentre nella gioia celebra la salvezza ricevuta, la preghiera si apre all’attesa della realizzazione piena».
La coesistenza di un «già » e di un «non ancora» caratterizza tutta la vita del credente. «Per questo il Salmo utilizza immagini particolari, che, con la loro complessità , rimandano alla realtà misteriosa della redenzione, in cui si intrecciano dono ricevuto e ancora da attendere, vita e morte, gioia sognante e lacrime penose».
Le immagini usate sono radicate nell’esperienza storica d’Israele, ma insieme hanno un significato universale. La prima immagine «fa riferimento ai torrenti secchi del deserto del Neghev, che con le piogge si riempiono di acqua impetuosa che ridà vita al terreno inaridito e lo fa rifiorire. La richiesta del Salmista è dunque che il ristabilimento della sorte del popolo e il ritorno dall’esilio siano come quell’acqua, travolgente e inarrestabile, e capace di trasformare il deserto in una immensa distesa di erba verde e di fiori».
La seconda immagine «si sposta dalle colline aride e rocciose del Neghev ai campi che i contadini coltivano per trarne il cibo. Per parlare della salvezza, si richiama qui l’esperienza che ogni anno si rinnova nel mondo agricolo: il momento difficile e faticoso della semina e poi la gioia prorompente del raccolto. Una semina che è accompagnata dalle lacrime, perchè si getta ciò che potrebbe ancora diventare pane, esponendosi a un’attesa piena di incertezze: il contadino lavora, prepara il terreno, sparge il seme, ma, come illustra bene la parabola del seminatore, non sa dove questo seme cadrà , se gli uccelli lo mangeranno, se attecchirà , se metterà radici, se diventerà spiga».
Per noi l’esperienza dell’agricoltura e diventata meno consueta, ma tutti ancora comprendiamo che «gettare il seme è un gesto di fiducia e di speranza; è necessaria l’operosità dell’uomo, ma poi si deve entrare in un’attesa impotente, ben sapendo che molti fattori saranno determinanti per il buon esito del raccolto e che il rischio di un fallimento è sempre in agguato. Eppure, anno dopo anno, il contadino ripete il suo gesto e getta il suo seme. E quando questo diventa spiga, e i campi si riempiono di messi, ecco la gioia di chi è davanti a un prodigio straordinario».
Come sempre, ai Salmi fa eco Gesù nel Vangelo. «Diceva: “Così è il regno di Dio: come un uomo che getta il seme sul terreno; dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme germoglia e cresce. Come, egli stesso non lo sa» (Mc 4,26-27)». È «il mistero nascosto della vita, sono le meravigliose “grandi cose della salvezza che il Signore opera nella storia degli uomini e di cui gli uomini ignorano il segreto. L’intervento divino, quando si manifesta in pienezza, mostra una dimensione prorompente, come i torrenti del Neghev e come il grano nei campi, evocatore quest’ultimo anche di una sproporzione tipica delle cose di Dio: sproporzione tra la fatica della semina e l’immensa gioia del raccolto, tra l’ansia dell’attesa e la rasserenante visione dei granai ricolmi, tra i piccoli semi gettati a terra e i grandi cumuli di covoni dorati dal sole. Alla mietitura, tutto è trasformato, il pianto è finito, ha lasciato il posto a grida di gioia esultante».
Ma in che senso tutto questo scenario pastorale e agricolo è rilevante per noi oggi? Il Salmista vuole «parlare della salvezza, della liberazione, del ristabilimento della sorte, del ritorno dall’esilio. La deportazione a Babilonia, come ogni altra situazione di sofferenza e di crisi, con il suo buio doloroso fatto di dubbi e di apparente lontananza di Dio, in realtà , dice il nostro Salmo, è come una semina». In verità , solo «nel Mistero di Cristo, alla luce del Nuovo Testamento, il messaggio si fa ancora più esplicito e chiaro: il credente che attraversa quel buio è come il chicco di grano caduto in terra che muore, ma per dare molto frutto (cfr Gv 12,24); oppure, riprendendo un’altra immagine cara a Gesù, è come la donna che soffre nelle doglie del parto per poter giungere alla gioia di aver dato alla luce una nuova vita (cfr Gv 16,21)».
Questo Salmo molto consolante «ci insegna che, nella nostra preghiera, dobbiamo rimanere sempre aperti alla speranza e saldi nella fede in Dio. La nostra storia, anche se segnata spesso da dolore, da incertezze, da momenti di crisi, è una storia di salvezza e di “ristabilimento delle sorti . In Gesù, ogni nostro esilio finisce, e ogni lacrima è asciugata, nel mistero della sua Croce, della morte trasformata in vita, come il chicco di grano che si spezza nella terra e diventa spiga».
La preghiera cui il Papa ci invita ha due aspetti. Anzitutto, non dobbiamo dimenticare di ringraziare il Signore. In secondo luogo, la meditazione sui benefici del Signore deve spingerci a operare per il bene e per trasformare il mondo. E a non disperare quando le difficoltà si presenteranno di nuovo. «Come coloro che – ritornati da Babilonia pieni di gioia – hanno trovato una terra impoverita, devastata, come pure la difficoltà della seminagione e hanno sofferto piangendo non sapendo se realmente alla fine ci sarebbe stata la raccolta, così anche noi, dopo la grande scoperta di Gesù Cristo – la nostra vita, la verità , il cammino – entrando nel terreno della fede, nella “terra della fede , troviamo anche spesso una vita buia, dura, difficile, una seminagione con lacrime, ma sicuri che la luce di Cristo ci dona, alla fine, realmente, la grande raccolta».
E dunque «dobbiamo imparare questo anche nelle notti buie; non dimenticare che la luce c’è, che Dio è già in mezzo alla nostra vita e che possiamo seminare con la grande fiducia che il “sì di Dio è più forte di tutti noi. È importante non perdere questo ricordo della presenza di Dio nella nostra vita, questa gioia profonda che Dio è entrato nella nostra vita, liberandoci: è la gratitudine per la scoperta di Gesù Cristo, che è venuto da noi. E questa gratitudine si trasforma in speranza, è stella della speranza che ci dà la fiducia, è la luce, perchè proprio i dolori della seminagione sono l’inizio della nuova vita, della grande e definitiva gioia di Dio».
@Francesco
Il post 13 lo leggerò appena avrò tempo…..comunque siamo ancora a capire pero per melo. Non ho in mente luci accecanti, suono, baccano assordante, sballo….sesso droga e rock..magari tecno……ma un ambiente + gioioso, sereno, felice. Chi ha un lutto nel cuore deve pensare anche alla resurrezione del suo caro, che è ancora in mezzo a noi grazie a Gesù. E sì, una celebrazione luminosa, Gesù è la luce del mondo, non tenebrosa e boriosa. Devo anche dire che trovo + indicate le croci senza il cadavere di Gesù, come usano i protestanti, mi ispirano più verso la resurrezione che la morte…
Dele, ma quanti anni hai? Non tutti i lutti sono dovuto alla morte di una persona…
Ed in ogni caso non è una gioia artefatta che può aiutare. Solo Gesù può.
@Dele
… e di quale cadavere parli!!!?
Quello è solo il segno tangibile agli occhi umani nella forma visibile con questi occhi, nella prosecuzione temporale della storia, di un momento storico durato all’incirca 60 ore (calcolate nel sistema solare), compresa la discesa agli inferi, e prodromico alla resurrezione. Ecco cosa volevo dire parecchi post fa: in questo momento, (mentre io scrivo questo post e nel momento in cui tu lo leggerai) CRISTO HA IL SUO CORPO, E’ IN CORPO, RISORTO, SI’, MA CORPO.
E poi, cadavere o non cadavere, quel corpo morto, deposto e seppellito, non è stato UN SOLO MOMENTO STORICO. NO!!! E’ ETERNITA’ e quindi quel momento E’ PRESENTE ANCHE ORA!
Capisci qual’è la differenza tra Cattolicesimo e Protestantesimo? Non è solo l’abbellimento dei due legni posti ad angolo retto (a squadro, come dicono gli ingegneri). Non è che se tu lo togli, il cadavere, il cadavere non muore e risorge più. E’ L’ETERNITA’ che fa morire e risorgere CRISTO, perchè CRISTO E’ (EGLI STESSO) ETERNITA’.
Il crocifisso non ti deve impressionare!!! Il crocifisso ti fa dire alla morte: Tieh! T’ho fregata!