domenica 29 giugno 2008
festa dei Santi Pietro e Paolo
In quel tempo, Gesù, giunto nella regione di Cesarèa di Filippo, domandò ai suoi discepoli: «La gente, chi dice che sia il Figlio dell’uomo?». Risposero: «Alcuni dicono Giovanni il Battista, altri Elìa, altri Geremìa o qualcuno dei profeti».
Disse loro: «Ma voi, chi dite che io sia?». Rispose Simon Pietro: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente».
E Gesù gli disse: «Beato sei tu, Simone, figlio di Giona, perchè nè carne nè sangue te lo hanno rivelato, ma il Padre mio che è nei cieli. E io a te dico: tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le potenze degli inferi non prevarranno su di essa. A te darò le chiavi del regno dei cieli: tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli».
(Dal Vangelo di Matteo 16,13-19)
“Chi sono io per te?”
Credo che questa domanda sia presente sottintesa a tutte le nostre relazioni umane. Ogni volta che qualcuno fa qualcosa per me, che sia una cosa positiva o negativa, risponde alla domanda “chi sono io per te”. E lo stesso, ovviamente, vale per quando io faccio o dico qualcosa a qualcuno, in qualche modo gli comunico la risposta alla domanda “chi sei tu per me”.
E la risposta a questa domanda non è mai la stessa, ma si evolve e cambia. Ho in mente persone che ho conosciuto e che ora sono amiche: all’inizio, alla domanda “chi sei per me” la risposta poteva essere “nessuno, perchè ti ho incontrato per caso”, oppure “uno dei tanti fedeli della parrocchia”, oppure “un amico di un altro che conosco…”. Ma poi con il tempo, attraverso la conoscenza, la risposta si è evoluta in “sei mio amico, mia amica”, e questo cerco di farlo trasparire anche dal più piccolo gesto e parola.
Può succedere anche il percorso contrario, cioè quando per qualcuno una relazione d’amore o di amicizia pian piano si spegne, e ci si accorge che da una o da entrambe le parti la risposta alla domanda “chi sei per me” passa da “il mio amico, il mio amico” a “un fastidio” se non addirittura “la persona che mi fa solo che soffrire”, e anche tutto questo traspare dai gesti e dalle parole che ci si rivolge. Potremmo davvero ripensare tutti i nostri rapporti umani in quest’ottica, cioè come riposta reciproca alla domanda “chi sei per me, chi sono io per te”.
In famiglia la risposta sembrerebbe più salda e fissa: “tu sei mia moglie”, “tu sei mio marito”, “tu sei mio genitore” e tu “sei mio figlio/figlia”. Ma sappiamo bene che anche qui, nei stretti legami famigliari, la risposta non è mai scontata. Ci sono infatti molte volte nelle quali possiamo rispondere o ricevere risposta: “tu sei della mia famiglia, ma anche un grande fastidio e fonte di odio”. Una risposta positiva alla domanda non è mai scontata, nemmeno in famiglia.
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Gesù un giorno chiede ai suoi discepoli “voi, chi dite che io sia”, che è la stessa cosa che chiedere “chi sono io per voi”. Pietro dà una risposta alta e perfetta che colpisce profondamente Gesù. Ma Gesù riconosce anche che è una risposta ispirata da Dio stesso a Pietro, che nella sua umanità è molto più incerto e dubbioso.
Pietro avrà tutta la sua vita, fino al martirio, per rispondere a Gesù “chi sono io per te”. Non sarà una risposta sempre lineare e coerente, ma avrà la sua evoluzione, che passerà dall’entusiasmo della prima chiamata sul lago di Tiberiade, al tradimento la sera dell’arresto, fino al pentimento e alla testimonianza dopo la resurrezione.
Questa domanda Gesù la rivolge anche a noi come comunità e come singoli: “chi sono io per voi e per te?”
Non basta una risposta “da catechismo”, ma Gesù vuole una riposta fatta con i gesti e la vita.
Una comunità che vive una fede solo di facciata domenicale, fatta di qualche rito e processione e non evolve nella solidarietà reciproca, nella comunione, nel perdono… è una comunità che alla domanda “chi sono io per voi” risponde con un “sei una bella tradizione” e basta…
E come singolo credente, se non amo il mio fratello nel quale più volte Gesù ha detto di esser presente, allora anche la mia risposta sarà debole e superficiale: “Gesù, per me non sei importante e non mi insegni nulla che valga la pena di seguire”
Mi fa riflettere una piccola storiella che mi ha raccontato un amico missionario:
Su un sentiero aspro e pieno di pietre ho incontrato una bambina che portava sulle spalle il suo fratellino. “Ciao ragazzina – gli dissi – stai portando un grande peso sulle tue spalle”.
Lei mi rispose: “Non è un peso, signore. E’ mio fratello”
Giovanni don
Ciao don Giovanni! E’ vero che nei modi con cui stiamo con le persone e con il Signore noi lasciamo vedere chi sono per noi. E quando da loro e dal Signore sentiamo che siamo importanti, questo è un bell’incoraggiamento che ci fa superare anche relazioni meno immediate o a volte difficili. Ciao!
ciao carissimo, sempre in gamba, bella la storiella che il Signore ti accompagni sempre don Gino
Ogni peso, sorretto dalla fede e dall’amore, diventa leggero.
” Il Signore è come ombra che ti copre, e sta alla tua destra
Di giorno non ti colpirà il sole , nè la luna di notte”
Good idea and good thought for all.
The story is thought provoking.
May Good God Bless us.
d. Giovanni, sei forte, ma soprattutto sei profondo. E’ veramente bello “stare” con Lui e magari portare il fratello sulla spalla e nel cuore!
Ciao
Caro don Giovanni, sono molto belle le cose che scrivi.E profonde. Solo una cosa non riesco a capire: perchè in quasi tutti i tuoi commenti c’è sempre una contrapposizione tra una fede autentica, amorevole e una “di riti e tradizioni”? Secondo te Gesù che ha scelto nella Sua Chiesa (anche con i riti e le processioni) il metodo di essere presente e attuale nella storia non può essere amato rispettando e amando la Tradizione? Perchè ci deve sempre essere la distinzione tra il cristiano “bigotto” e quello “trendy” quello del “sentimento”?
Io credo che conoscere, capire, rispettare e amare la Chiesa anche nelle sue manifestazioni liturgiche esteriori e formali ci possa aiutare nell’amare il prossimo in quanto manifestazione di Cristo.
Non sono solo cose da “vecchiotti” o da poveri fissati.