domenica 9 settembre 2007
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In quel tempo, siccome molta gente andava con lui, Gesù si voltò e disse: «Se uno viene a me e non odia suo padre, sua madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo.
Chi non porta la propria croce e non viene dietro di me, non può essere mio discepolo…
Così chiunque di voi non rinunzia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo».
(dal Vangelo di Luca 14, 25-33)
Se le condizioni per essere discepolo di Gesù sono queste allora davvero è impossibile esser discepoli!
Dietro queste richieste “impossibili” c’è una spiegazione che viene proprio dal contesto.
Gesù non parla per aria e non dice cose in modo assoluto, cioè senza un riferimento concreto.
Gesù pronuncia queste richieste voltandosi verso la folla che lo segue. Nota che c’è molta gente e sicuramente si domanda perchè è li, per quale motivo e a qual fine così in tanti gli corrono dietro.
Tutte quelle persone sono li perchè è il personaggio alla moda del momento?
Sono discepoli perchè “così fanno tutti”?
Lo seguono perchè è domenica è dato che tutti ci vanno anche loro sono li?
Magari è perchè dirsi discepoli e facendosi vedere nel giro con Lui si ha qualche vantaggio …
Forse qualcuno pensa che in fondo esser discepoli di questo maestro e portare il suo nome non costa nulla e poi quando si torna a casa la vita è sempre la stessa…
Gesù allora alza la voce ma non per cacciare qualcuno ma per parlare chiaro e per dare la giusta misura dell’esser discepoli.
Queste parole sono sicuro che le pronuncerebbe forte anche oggi se vedendo noi che ci diciamo cristiani oggi, mentre andiamo in chiesa o per semplice fatto che siamo occidentali…
Essere discepoli comporta scelte forti e decise. Gesù e la sua parola devono venire prima di tutto, anzi è meglio dire “dentro tutto”.
Gesù deve entrare nelle mie relazioni più strette e fondamentali. Non posso dire che sono discepolo se ci sono delle zone “franche” per il Vangelo dentro la mia vita.
Gesù non è solo questione di messa domenicale o di qualche devozione che ho ogni tanto, giusto per non dimenticare che sono cristiano per appartenenza culturale.
Sono cristiano quando sono in casa con la mia famiglia, con le persone che contano per me. Sono cristiano sempre.
Ed esser cristiani è portare la croce e avere come bene prezioso il Vangelo.
Portare la croce significa amare come lui ha fatto, affrontando la vita con la certezza che Lui è sempre li con me, dentro la vita che vivo.
Non posso dire che sono discepolo se non sono capace di donare a chi mi chiede.
Non posso dire che sono discepolo se mi attacco talmente ai miei beni da trovare solo in essi la mia serenità .
Non posso dire che sono discepolo se penso che alla fede solo come “ornamento” domenicale della mia esistenza.
Non posso dire che sono discepolo se non mi chiedo mai cosa dice il Vangelo in ogni situazione che sto vivendo, mentre magari sono più veloce a consultar oroscopi o quel che dicono gli altri e i giornali…
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Se accetto di diventare discepolo pur sapendo che è difficile e costoso, allora la mia vita, i miei affetti e anche quel che possiedo acquistano una luce diversa per me.
Come discepolo so amare in modo grande e inesauribile e divento capace di intrecciare relazioni famigliari, di amicizia e sociali più forti e durature, perchè dentro il mio amare non sono solo ma ho l’amore più forte di Gesù.
Con Gesù sono più ricco non perchè ho più beni ma perchè mi sento ricco e in pace anche se ho meno di quello che la società mi impone e non ho l’ansia di possedere e controllare.
Con Gesù e la sua parola nel cuore, anche se a volte segnata da difficoltà e dolori, la mia vita diventa sempre bella e piena di possibilità .
Giovannidon
Avevo deciso di partire… In casa però le cose non andarono al meglio e fui ‘costretta’ a rimandare. Mi ero detta: “Lascio i miei nella sofferenza per seguire Colui che ha dato la vita per la nostra salvezza… e se lo seguissi già ora? Se cominciassi a dare qualche anno della mia vita per camminare con i miei?”. Un giovane seminarista, compagno di cammino, pensò bene di sbattermi in faccia questo testo evangelico. Lo avevo meditato a lungo prima di dire di sì al mio ‘dare la vita’. La mia reazione fu violenta: “Mi dispiace, ma non hai proprio capito niente!”. Ne sono ancora convinta: non aveva capito nulla. Il Signore con quel ‘odiare’ chiede solo di mettere al posto giusto ogni affetto, e Lui sopra tutti, ed io proprio restando stavo scegliendo Lui anche sopra i miei. La conferma? Sono suora, da dieci anni! AmarLo così ne vale la pena! Credeteci 🙂
Grazie a te don… questa volta mi hai proprio fatto cedere alla voglia di condividere!
Ci hanno sempre detto che il termine “odiare” di questa pericope va tradotto più correttamente con “posporre” ,mettere dopo. Forse in questo senso risulta meno provocatorio. Mi ricordo sempre un mio amico giovane che si accusava spessissimo di non aver messo Dio al primo posto e questo ritornello ha fatto tanto bene, soprattutto a me che poi mi chiedeve che osa significasse concretamente tutto questo. La mia conclusione è stata che dovevo innanzitutto far posto agli altri perchè essi sono espressione concreta della volontà di Dio nell’attimo presente.
Essere discepoli di Cristo, secondo me vuol dire amare chi mi sta vicino, marito figli così come Dio ama, amare Dio vuol dire essere capaci di superare, i conflitti, le fatiche, le angosce con Lui e per Lui, ogni atto se lo viviamo e lo faccimo per Lui ameremo chi ci sta intorno di più, amare Dio dunque non vuol dire assolutamente disconoscere gli affetti, ma viverli in pienezza.Nel mio piccolo spero di essere una discreta discepola e non riuscirei ad esserlo senza la Sapienza, senza la guida del Suo Santo Spirito.