DOMENICA 21 ottobre 2018
In quel tempo, si avvicinarono a Gesù Giacomo e Giovanni, i figli di Zebedèo, dicendogli: «Maestro, vogliamo che tu faccia per noi quello che ti chiederemo». Egli disse loro: «Che cosa volete che io faccia per voi?». Gli risposero: «Concedici di sedere, nella tua gloria, uno alla tua destra e uno alla tua sinistra».
Gesù disse loro: «Voi non sapete quello che chiedete. Potete bere il calice che io bevo, o essere battezzati nel battesimo in cui io sono battezzato?». Gli risposero: «Lo possiamo». E Gesù disse loro: «Il calice che io bevo, anche voi lo berrete, e nel battesimo in cui io sono battezzato anche voi sarete battezzati. Ma sedere alla mia destra o alla mia sinistra non sta a me concederlo; è per coloro per i quali è stato preparato».
Gli altri dieci, avendo sentito, cominciarono a indignarsi con Giacomo e Giovanni. Allora Gesù li chiamò a sè e disse loro: «Voi sapete che coloro i quali sono considerati i governanti delle nazioni dominano su di esse e i loro capi le opprimono. Tra voi però non è così; ma chi vuole diventare grande tra voi sarà vostro servitore, e chi vuole essere il primo tra voi sarà schiavo di tutti. Anche il Figlio dell’uomo infatti non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti».(dal Vangelo di Marco 10,35-45)
Quando Giovanni Battista Montini divenne Papa con il nome di Paolo Sesto, nel 1963, la Chiesa stava vivendo uno dei passaggi più profondi della sua storia recente. Si stava celebrando il Concilio Vaticano Secondo, che voleva riscrivere l’atteggiamento della Chiesa nel mondo, in uno stile di maggior ascolto e sintonia verso la sempre più complessa realtà umana verso la modernità . Era anche un Concilio che non voleva cambiare la fede nei suoi fondamenti ma riformare il modo di viverla. Una delle prime scelte del neo eletto Paolo VI dal punto di vista simbolico fu quella di rinunciare alla Tiara, la triplice corona più o meno a forma conica che dal Medioevo veniva usata per l’incoronazione dei pontefici. Era un segno forte di potere che insieme a molti altri pian piano accumulati nel corso della storia, aveva reso il papato più simile ad una corte regale umana che alla prima comunità cristiana voluta da Gesù. Rinunciando alla Tiara e anche pian piano anche alla sedia portata da portantini (come nelle corti medievali e rinascimentali), Paolo Sesto voleva dare una sterzata evangelica allo stile ecclesiale cominciando proprio dai suoi vertici.
Ovviamente è stato solo uno dei tanti gesti simbolici compiuti da Paolo VI, da poco dichiarato santo, e che sono stati seguiti anche da altri gesti molto forti dai papi successivi fino all’attuale papa Francesco. La Chiesa con la sua lunga storia immersa nella storia dell’umanità , non è stata immune dalla contaminazione del potere umano e da tutte le sue deviazioni. Il racconto dei vangeli non nasconde che questo problema del potere ha contaminato gli stessi apostoli spesso raffigurati litigiosi tra loro e alla ricerca di gloria umana, pigri nel servizio e incapaci di comprendere il Maestro che è lì con loro. Questa domenica l’episodio è incentrato sulla scandalosa richiesta di Giacomo e Giovanni che pretendono da Gesù un posto privilegiato accanto a lui nella sua gloria. Ovviamente per loro la gloria di Gesù è quella di re di Israele che entra trionfante a Gerusalemme a comandare. Lo sdegno degli altri 10 apostoli così come è descritto nel racconto non è di chi ha capito la strada di Gesù, ma è di chi è invidioso, di chi vede che qualcun altro si è fatto avanti prima nel posto d’onore.
Gesù prende la palla al balzo di questa profonda incomprensione dei suoi amici per richiamarli. Li “richiama” non nel senso del rimprovero, ma nel senso della chiamata. Il testo ricorda come Gesù di nuovo “li chiama a se” per rinnovare il legame con Lui e con quello che dice, un legame che si era pian piano allentato ed era stato “inquinato” dalla mentalità umana del potere. Gesù chiama i suoi pe insegnare quale è lo stile interno alla loro comunità e alla comunità dei suoi discepoli di ogni tempo. Lo stile è quello che rifiuta ogni forma di potere che schiacci e opprima il prossimo. Il potere è un servizio che si fa mettendosi all’ultimo posto, quello di chi serve per amore senza aspettarsi nulla, neanche l’onore e la gloria umana. La comunità cristiana non ha come modello i regni umani e le strutture di potere, ma ha come modello la famiglia, gli amici, i poveri. Giacomo e Giovanni e tutti gli altri attorno a Gesù in fondo rappresentano le tante nostre pretese di valere e comandare di più di altri, in una gara di salita verso l’alto, verso chi ha di più e comanda di più. E in questa “gara perversa” i segni sono importanti. E bisogna ammettere che tanti dei gloriosi segni del potere nella storia della Chiesa hanno risposto di più a questa “perversione” che alla giusta organizzazione della comunità .
Il vangelo ci riporta quindi a Gesù e solo a lui siamo chiamati a guardare ancora una volta come Maestro per la nostra vita ecclesiale e anche umana. Lui ha scelto si spogliarsi di ogni segno di potere non per non fare nulla, ma proprio per dare pieno potere a quello che davvero vale nella vita in Dio tra gli uomini, cioè l’amore. Lui si è fatto servo dei servi e ha scelto la croce come luogo più alto del suo potere. La parola “battesimo” che ricorre molte volte in questo passo evangelico, va intesa proprio nel suo significato vero che è “immersione”. Gesù ha scelto di immergersi totalmente in questa realtà umana, fatta di tante contraddizioni e piccolezze e dal peccato. Gesù si immerge nell’umanità per far emergere da essa il cuore dell’uomo che è la parte più nobile e preziosa, che non ha bisogno di segni dorati e potenti, ma rende grande l’uomo più grande è il suo amore.
Quando Gesù parla a Giacomo e Giovanni, così pieni di orgoglio e troppo sicuri di sè stessi, parla sapendo che pian piano capiranno la lezione che lui sta dando con il suo esempio. Sa che arriveranno anche loro a dare la vita per amore e trovare il loro posto nella gloria di Dio non passando attraverso troni umani, ma attraverso l’amore di Dio.
Come il gesto profetico di Paolo VI all’inizio del suo pontificato, anche noi quotidianamente possiamo dare i nostro “contro-segni” di amore. Ogni volta che scegliamo di spogliarci delle nostre pretese e orgoglio, e ci mettiamo a servizio del prossimo, diventiamo grandi, facendoci piccoli e servi, come Gesù.
Giovanni don
Gesù si è immerso totalmente nella nostra realtà umana…
Si è incarnato nel nostro limite, nella nostra povertà …
Ognuno di noi, io, tu, ogni battezzato, siamo immersi nella realtà divina?
Quanto? Quando?
Nei miei pensieri, nelle mie parole, nelle mie azioni, nei fremiti del mio cuore quanta presenza-incarnazione di Dio c’è?
Grazie per questa riflessione.