In quel tempo, si avvicinarono a Gesù Giacomo e Giovanni, i figli di Zebedèo, dicendogli: «Maestro, vogliamo che tu faccia per noi quello che ti chiederemo». Egli disse loro: «Che cosa volete che io faccia per voi?». Gli risposero: «Concedici di sedere, nella tua gloria, uno alla tua destra e uno alla tua sinistra».
Gesù disse loro: «Voi non sapete quello che chiedete. Potete bere il calice che io bevo, o essere battezzati nel battesimo in cui io sono battezzato?». Gli risposero: «Lo possiamo». E Gesù disse loro: «Il calice che io bevo, anche voi lo berrete, e nel battesimo in cui io sono battezzato anche voi sarete battezzati. Ma sedere alla mia destra o alla mia sinistra non sta a me concederlo; è per coloro per i quali è stato preparato».
Gli altri dieci, avendo sentito, cominciarono a indignarsi con Giacomo e Giovanni. Allora Gesù li chiamò a sè e disse loro: «Voi sapete che coloro i quali sono considerati i governanti delle nazioni dominano su di esse e i loro capi le opprimono. Tra voi però non è così; ma chi vuole diventare grande tra voi sarà vostro servitore, e chi vuole essere il primo tra voi sarà schiavo di tutti. Anche il Figlio dell’uomo infatti non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti».
(dal Vangelo di Marco 10,35-45)
Qualche giorno fa ho incontrato un ragazzo che mi ha raccontato di una esperienza molto forte che lo ha segnato: il cammino di Santiago.
Lui si definisce credente ma non praticante, e dicendolo quasi si scusava con me, come se avesse vergogna di dirlo ad un prete. Mi ha colpito il racconto che lui ha fatto di questo pellegrinaggio a piedi durato circa un mese e mezzo e che lo ha portato da Verona a Santiago di Compostela, luogo che fin dal medioevo è meta di milioni di pellegrini, che intraprendono un viaggio che è fisico e spirituale insieme.
Questo giovane di 27 anni mi ha descritto la fatica del lungo viaggio fatto in solitaria, reso ancora più difficoltoso dalle condizioni meteorologiche non amiche e anche da problemi fisici che appesantivano ancora di più il cammino. Eppure, nonostante tutto questo, conserva il ricordo di una esperienza spirituale profondissima, avendo toccato fino in fondo la propria fragilità umana e insieme la pace interiore che, secondo lui, solo da Dio poteva venirgli.
Posso dire che questa sua esperienza ha toccato anche me, e mi ha fatto capire ancora di più la pagina del Vangelo di questa domenica.
Qui i discepoli Giovanni e Giacomo, manifestano tutta la loro incapacità di capire veramente cosa significa stare con Gesù. Per loro, stare dalla parte di Gesù Messia significa gloria e potere. Gesù invece li riporta alla realtà della sua esperienza. Stare con lui è scendere da ogni possibile piedistallo e sicurezza che noi o altri ci possono mettere, e iniziare un cammino di abbassamento che porta al servizio, al dare la vita e persino a perdere la vita (il calice da bere è la sofferenza e il battesimo di cui parla Gesù è il suo martirio sulla croce).
Stare con Gesù non è salire in alto, ma scendere in basso. Ma proprio in questo scendere fino dove siamo più fragili e fin dove l’umanità è fragile e debole, proprio li incontriamo Dio.
I discepoli forse pensano che la sofferenza e la fatica siano solamente un passaggio magari evitabile per incontrare Dio e realizzare se stessi. Gesù invece dice che proprio in quel cammino di abbassamento nel servizio e nel dono ci sono l’incontro con il Signore e la gloria della propria vita.
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Penso che sia proprio in questo il segreto di un cammino di pellegrinaggio come quello verso Santiago compiuto dal mio giovane amico. Lui ha incontrato Dio ancor prima di arrivare nella bellissima e gloriosa Basilica di Santiago. Lo ha incontrato lungo la strada, nelle piccolezze e limiti del proprio corpo e nei numerosi incontri e dialoghi di coloro che si affiancavano a lui di tanto in tanto nello stesso cammino, carichi anch’essi di limiti e fatiche.
Il desiderio dei due fratelli figli di Zebedeo è anche il nostro, perchè credo che tutti cerchiamo la salvezza della nostra vita e magari il posto giusto accanto a Dio. Gesù con le parole e con l’esempio lo insegna chiaramente ai suoi discepoli di allora, e questo suo insegnamento giunge anche a noi oggi: non ottenere la gloria umana, non la ricchezza e il potere… ma ricercare e mettersi al servizio gli uni degli altri, in una condivisione di fatiche, fragilità e piccolezze che ci accomunano tutti, anche se tentiamo spesso di mascherare e nascondere. E’ camminando verso il basso, nel servizio reciproco che possiamo salire molto in alto e trovare il posto giusto accanto a Gesù.
Giovanni don
🙂
Certo se vuoi diventare ricco di $$$ non è certo seguendo Gesù che li ottieni.
O se mai dovessi ottenerli (la provvidenza è il braccio armato dello Spirito Santo) li ottieni per la causa di bontà per cui operi, … non certo per te.
Delle letture questa frase la trovo piena di significati ed anche un po’ “misteriosa” (nel senso buono del termine):
“Ma sedere alla mia destra o alla mia sinistra non sta a me concederlo; è per coloro per i quali è stato preparato”.
La tentazione sottile è quella di apparire cristiani anzichè esserlo veramente. […]
Il rischio, per noi cristiani, è quello di “servire due padroni (Mt 6, 24): adorare, sì, il Signore, ma assolutizzare, nello stesso tempo, anche la creatura.
Questo dualismo è evidentemente offensivo per il Signore e crea nella nostra vita incoerenze ed ipocrisie. Crea una profonda lacerazione interiore.
Crediamo forse, con tale modo di agire, di aver maggior successo, ma in realtà finiamo per metterci in inestricabili contraddizioni.
Queste parole di Giovanni Paolo II ben si legano al vangelo di questa domenica.
“Stare con Gesù non è salire in alto, ma scendere in basso.
Ma proprio in questo scendere fino dove siamo più fragili e fin dove l’umanità
è fragile e debole, proprio lì incontriamo Dio.
Tutti cerchiamo la salvezza della nostra vita e magari il posto giusto accanto
a Dio…”
ma quante volte la superbia ci rende ciechi? Quanti peccati di presunzione riusciamo a giustificare? Quanta ipocrisia riusciamo a nascondere? Quante maschere usiamo per camuffare il nostro vero volto e le nostre vere intenzioni?
Anche il vangelo si tenta di adattarlo a proprio uso e consumo!
Come se Gesù avesse parlato a vuoto!
E poi anche nella politica di questi tempi troppi cosiddetti cattolici, corrotti e corruttori che entrano in carcere col rosario in mano, che vanno in tribunale ostentando una grande croce al collo, che scandalo!
Fra travi e pagliuzze che ostacolano la vista e pesano sulle spalle, che fatica
guardare in alto!
Grandi parole quelle del Beato Giovanni Paolo II.
“Adorare, sì, il Signore, ma assolutizzare, nello stesso tempo, anche la creatura.
Questo dualismo è evidentemente offensivo per il Signore e crea nella nostra vita incoerenze ed ipocrisie.”
Grazie Nica per avercele riportate.
Mentre non ho capito a chi ti riferisci circa i corruttori con Rosario.
Nei TG che vedo i (pochi) politici cattolici lo sono solo a parole.
Se lo fossero nei fatti … non sarebbero nei TG per questioni di soldi ma lo sarebbero per proposte contro corrente come:
– togliere l’aborto,
– aiutarele famiglie con figli disabili,
– aiutare gli anziani ad essere accuditi a casa, con i propri cari in vece che negli hospice,
– politiche sul lavoro X i giovani,
– investimenti (come fece la Chiesa nel Medioevo) in università , in cultura, in accoglienza ai bisognosi ecc ecc ).
Ad ogni modo, se dopo le accuse verranno trovati colpevoli, speriamo che la pena detentiva possa servire:
In fondo anche il Patrono d’Italia è stato condannato (diremmo oggi) in via definitiva a pagare con pena detentiva in carcere e ne uscì solo grazie alla sua famiglia (ricca) che potè pagare il “riscatto”.
(diremo oggi “corruzione? o nepotismo?”)
http://it.cathopedia.org/wiki/San_Francesco
Ma:
“La prigionia fu per lui un’esperienza fondamentale, che lo indusse ad un totale ripensamento della sua vita.”
🙂
Come diceva Don Orione:
“Il Signore sa scrivere diritto anche sulle nostre righe storte”.
“non ottenere la gloria umana, non la ricchezza e il potere… ma ricercare e mettersi al servizio gli uni degli altri, in una condivisione di fatiche, fragilità e piccolezze che ci accomunano tutti, anche se tentiamo spesso di mascherare e nascondere. È camminando verso il basso, nel servizio reciproco che possiamo salire molto in alto e trovare il posto giusto accanto a Gesù.”. Giustissimo, don Giovanni. Questo è il bivio dei bivi, è il tormento che ci accompagna ogni giorno. Sono davvero disposto a farmi piccolo per Lui, affrontando un percorso tutto in salita e mortificando la mia inclinazione umana che naturalmente tende al prevalere e al dominio sugli altri??? Questa è la domanda da farsi e alla quale dobbiamo quotidianamente dare una risposta. Ma se vogliamo davvero stare con Lui, la risposta è semplice ed immediata. E la “benzina” che ci darà la forza di farci “piccoli” ogni giorno è una meravigliosa “miscela” di Fede e di Amore. Che il Signore ci aiuti a non farci mai restare…..a secco.
Cari amici, a me sembra che nel passo del Vangelo di Marco solo a prima vista alcuni discepoli pare che vogliano primeggiare su tutti suscitando negli altri una reazione scandalizzata e indignata per questa loro arroganza. In realtà il senso di queste parole è ben diverso, se teniamo presente il contesto in cui si svolge la conversazione fra Giacomo, Giovanni e Gesù. Infatti subito prima Gesù aveva parlato del destino di passione e morte che lo attendeva. Il piccolo gruppo dei tredici si stava infatti avviando verso Gerusalemme ed era chiaro a tutti verso quali pericoli si andava incontro. Nella capitale infatti risiedeva il potere religioso supremo, proprio quello che non sopportava Gesù e la sua predicazione. Sicuramente li aspettavano giorni difficili. Gesù li conferma con le sue parole, prefigurando per sè un destino di persecuzione e morte. Marco infatti dice che “mentre erano sulla strada per salire a Gerusalemme, Gesù camminava davanti a loro ed essi erano sgomenti; coloro che lo seguivano erano impauriti. (Mc 10,32) Poco prima, ancora, Pietro aveva chiesto a Gesù che destino li attendeva, visto che avevano lasciato tutto, famiglia, beni, lavoro, per seguirlo, spaventato forse dall’impossibilità a tornare indietro dopo scelte così radicali, in caso di fallimento della loro missione.
La paura si è impossessata dei dodici, che seguono a distanza Gesù chiedendosi forse, fra se e se, il perchè di quell’atteggiamento così irresponsabile del Signore.
In questa scena possiamo riconoscere anche molto della nostra vita di discepoli che seguono Gesù un po’ da lontano, presi dai propri pensieri e preoccupazioni, spaventati dalle difficoltà a cui il vangelo del Signore sembra esporci. La paura spesso ci domina e ci trattiene dal restare vicini a Gesù: paura di perdere qualcosa, di rimetterci; paura di fare brutta figura, di essere giudicati male; paura di esporsi troppo e di compromettersi con qualcosa di nuovo e fuori dal normale; ecc… tante e diverse paure trattengono i discepoli, e le parole di Gesù sul suo destino non rassicurano certo i discepoli, che anzi ne restano scossi.
In questo contesto si collocano le parole dei due discepoli Giacomo e Giovanni: “Concedici di sedere, nella tua gloria, uno alla tua destra e uno alla tua sinistra . Sembrano parole fuori luogo, infatti parlano di gloria in un contesto in cui sembra invece prevalere il tono della sconfitta e della fine di tutto. Sembra che i due non abbiano capito la situazione e dicano cose fuori luogo. In realtà è vero il contrario: solo loro infatti gli unici che hanno ascoltato tutte le parole di Gesù con attenzione. Infatti egli aveva detto loro: “Il Figlio dell’uomo sarà consegnato ai capi dei sacerdoti e agli scribi, lo condanneranno a morte e lo consegneranno ai pagani. … lo flagelleranno e lo uccideranno, e dopo tre giorni risorgerà (Mc 10,33-34). Cioè Gesù gli annuncia la sua resurrezione, ma gli unici a tenerla in considerazione sono Giacomo e Giovanni. Per questo parlano di “gloria , perchè già contemplano il Signore risorto. La loro richiesta di sedere accanto a lui nella gloria è allora l’espressione del loro voler restare vicino a Gesù e condividerne il destino. Non cancellano la prima parte della profezia, cioè la passione e morte, ed anzi, su esplicita richiesta di Gesù, affermano che sono disposti a subire lo stesso destino anche loro, ma mettono l’accento sulla seconda e più straordinaria parte: la resurrezione. Giacomo e Giovanni chiedono che sia concesso anche a loro di risorgere con lui!
Solo loro due hanno vinto quella distanza che separa gli altri, spaventati, sgomenti e chiusi nei loro pensieri, da Gesù. E lo hanno fatto aprendo con lui un dialogo, che il vangelo ci riporta : “Maestro, vogliamo che tu faccia per noi quello che ti chiederemo». Egli disse loro: «Che cosa volete che io faccia per voi?». Gli risposero: «Concedici di sedere,…. Gesù disse loro: «Voi non sapete quello che chiedete … Gli risposero: «Lo possiamo». E Gesù disse loro: «Il calice che io bevo … . È il dialogo della preghiera che fa’ uscire i due dalla chiusura in sè della paura per aprirli al desiderio di divenire partecipi della resurrezione. È un dialogo articolato, lungo, in cui Gesù incalza i due, e loro rispondono con prontezza. È insomma un paradigma di come si deve pregare: con insistenza, aperti ad ascoltare il Signore che risponde e pronti a rispondere con cuore aperto. Quel dialogo che è preghiera vince la paura dei due discepoli e li apre alla prospettiva di vivere come Gesù, di vivere il suo vangelo di resurrezione. Il Signore avverte in quelle parole la vicinanza di qualcuno che vuole essergli amico, consolarlo e non lasciarlo solo. Sì, con quel loro chiedere e pregare i due hanno dimostrato compassione per quel servo sofferente di cui ci parla Isaia nella prima lettura: “prostrato con dolori ma che poi “Dopo il suo intimo tormento vedrà la luce . La compassione ha reso i due discepoli capaci di vincere la paura e di farsi vicini all’uomo sofferente che sta davanti a loro. Questo li apre alla preghiera e dona loro le parole per chiedere la vittoria piena sul male che è la resurrezione.